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"Libertà di coscienza" sul iotestamento Fini mangia la crostata

• da Il Riformista del 24 settembre 2009, pag. 10

di Alessandro Calvi

E Gianfranco Fini torna a parlare di bioetica e libertà di coscienza. Lo fa proprio mentre nel Pdl si apre qualche crepa sul testamento biologico e non soltanto. Già, perché Montecitorio non è come il salotto di casa Letta, e si vede, se anche le frizioni interne al Pdl sulla gestione parlamentare del fine-vita diventano la spia di qualche mal di pancia che ancora non si è placato. Insomma, l’armistizio firmato pochi giorni fa tra premier e presidente della Camera potrebbe avere già bisogno di qualche colpo di lima. Il caso è una lettera diretta al Cavaliere firmata da una ventina di deputati del Pdl nella quale si chiede una convergenza su un testo minimal contro la iper-regolamentazione del fine vita e, di fatto, anche il superamento del testo licenziato dal Senato. Quella lettera, però, si è inserita in una catena di segnali che hanno messo in allarme più d’uno nel Pdl su una possibile interpretazione estensiva che lo stesso Fini, e non soltanto lui, avrebbe dato della tregua siglata a casa Letta. E questa catena parte proprio da quella lettera, sotto la quale compaiono una ventina di fin-ne significative. C’è Adolfo Urso e c’è Giorgio Stracquadanio, c’è Benedetto Della vedova e c’è anche Mario Baccini. Ci sono laici, cattolici, finiani, berlusconiani, tutti insieme a dire che «l’iper-regolamentazione giuridica del fine vita non contrasta solo con il senso di giustizia ma con il senso della realtà». E che si deve fare in modo di «porre dei confini senza pretendere di regolare  tutto», come ha riassunto il Foglio che l’ha pubblicata integralmente. Piuttosto che uno scontro che laceri i partiti anche al loro interno, «è preferibile e ancora possibile - sostengono i 20 - cambiare strada, fare una legge che consenta di accordarsi su ciò che accomuna e affratella gli italiani: la persuasione che il rapporto con la malattia, con le cure e con la morte appartenga a uno spazio personale di cui la legge può prudentemente fissare i confini esterni ma non i contenuti interni, che sono interamente affidati alle relazioni morali e professionali che legano il malato al suo medico e ai suoi congiunti». Si chiede insomma una soft law «che ribadisca con chiarezza il no all’eutanasia e all’accanimento terapeutico e che per il resto istituisca una sorta di riserva deontologica sulla materia del fine vita, demandando al rapporto tra pazienti, familiari, fiduciari e medici, la decisione in ordine a ogni scelta di cura». Se il punto di partenza è comune per tutti, diverso però è ancora l’obiettivo. Se per i finiani soft law fa ancora rima con legge laica, sull’altro fronte si guarda invece al lodo Sacconi con sempre maggiore interesse. Lo ha detto a chiare lettere Giorgio Stracquadanio che nel pomeriggio di ieri è stato costretto a una precisazione che dice molto anche di come la lettura data dal Foglio - che quella lettera ha pubblicato parlandone come del «doppio colpo finiano», insieme alla legge sulla cittadinanza  - abbia creato un qualche allarme. Il senso della precisazione di Stracquadanio, infatti, con quel richiamo al lodo Sacconi e con il dire che nella lettera inviata al premier non c’è nulla che possa riferirsi «a presunte strategie del presidente della Camera», va oltre il testamento biologico e avverte che nessuna sottoscrizione è arrivata a una eventuale operazione politica di stampo finiano. Qualcosa, insomma è sembrato rompersi, promuovendo a fatto politico a tutto tondo una questione che poteva essere derubricata a semplice questione di merito. Ma non stupisce quella precisazione anche perché quella lettera, come detto, va inserita in una sequenza di segnali. Ieri mattina, ad esempio, il presidente della Camera ha incontrato Marco Cappato, Rocco Berardo, Mina Welby e Luigi Manconi che gli hanno mostrato i testamenti biologici di circa 3mila persone raccolti dalle associazioni A buon diritto e Luca Coscioni in poche settimane. «Il presidente Fini ha poi spiegato  Manconi - ha affermato l’impegno a garantire che l’imminente dibattito si svolga con la massima serenità e pacatezza, in un clima scevro da pregiudizi e in cui la libertà e la piena coscienza del singolo parlamentare siano pienamente rispettate». E non è ancora tutto. C’è un ultimo tassello da aggiungere al puzzle finiano di queste ultime 48 ore: un incontro avvenuto martedì mattina a Montecitorio tra Gianfranco Fini e Luca Cordero di Montezemolo. Vista l’aria che tira, Montezemolo ieri è tornato a smentire un suo impegno diretto in politica. Senza andare troppo lontano, giova comunque ricordare che il 7 ottobre prossimo la fondazione Italia Futura ha in agenda la prima uscita ufficiale con una giornata - alla quale è invitato proprio Fini - dedicata alla presentazione di un rapporto sulla mobilità sociale. «Un lavoro di questo tipo - raccontava qualche giorno fa su queste colonne Irene Tinagli, curatrice del rapporto - finisce per lanciare dei messaggi anche alla politica, ad esempio che il nostro paese non può continuare a crogiolarsi in questo torpore, abbandonarsi a questa politica del pettegolezzo, fatta di nulla. Così si resta arenati, fermi». E ferma, nonostante tutto, rischia di rimanere anche la legge sul testamento biologico. Ieri il presidente della commissione Affari sociali della Camera, Giuseppe Palumbo, spiegava che «nessuno sta forzando i tempi, la discussione è tranquilla». Dunque, difficilmente il ddl sul testamento biologico arriverà in aula prima della finanziaria, a metà novembre.



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