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Eugene Ionesco, il libertario anti egemonia

• da Secolo d'Italia del 13 ottobre 2009, pag. 8/9

di Pier Paolo Segneri

Comprai un manuale di conversazione dal francese all`inglese, da principianti. Mi misi al lavoro e coscientemente copiai, per impararle a memoria, le frasi prese dal mio manuale. Rileggendole con attenzione, imparai dunque, non l`inglese, ma delle verità sorprendenti: che ci sono sette giorni nella settimana, ad esempio, cosa che già sapevo; oppure che il pavimento è in basso, il soffitto in alto... Per mia enorme meraviglia, la S.ra Smith faceva sapere a suo marito che essi avevano numerosi figli, che abitavano nei dintorni di Londra, che il loro cognome era Smith, che il Sig. Smith era un impiegato. Mi dicevo che il Sig. Smith doveva essere un po` al corrente di tutto ciò; ma, non si sa mai, ci sono persone così distratte...». E così si apre un mondo: incomunicabilità, dissacrazione grottesca della borghesia, ironia della sorte, vita abitudinaria, vacuità degli affetti, vuoto , esistenziale, ripetitività dei gesti svuotamento delle parole, falsità di rapporti e il totale non-sense dell`esistenza. Sono questi gli elementi principali dell`opera, del conflitto narrativo e della drammaturgia di uno dei più grandi commediografi del Novecento: Eugène Ionesco. E una cosa va detta sin all`inizio: gli anniversari letterari di quest`anno 2009 - da Simone Weil a Robert Brasillach, da Jack Kerouac sino a Leonardo Sciascia - non hanno occupato, rispetto ad altri, più di tanto le pagine dei giornali e gli stessi spazi sui mass media. E qualche motivo va senz`altro individuato nella specifica "irriducibilità" propria di questi autori agli schemi convenzionali. Tra i questi, in prima fila, indubbiamente c`è proprio Ionesco, di cui il 26 novembre ricorrono i cent`anni della nascita. Non possiamo, allora, non sottolinearne l`attualità e il non-conformismo. Ma non basta: i temi da lui sviscerati e proposti fanno parte della nostra attualità e vanno perciò ripresi, riletti, compresi. Ci sono delle questioni che sono rimaste pressoché irrisolte. Anzi, quei temi si sono aggravati negli anni a causa dell`uso alienante che si è fatto del mezzo televisivo, dei computer, degli i-Pod... Da parte di ciascuno, nella vita di tutti. I suoi testi, perciò, ci parlano ancora. Ionesco è considerato il geniale inventore di un nuovo modo di concepire il teatro e di scrivere per il palcoscenico. Un gioco dell`assurdo osservato attraverso una visione onirica della realtà, dei personaggi e delle parole. L`esempio più eclatante? Senza dubbio La cantatrice calva, del 1950. Un atto unico che comincia esattamente così: «Interno borghese inglese, con poltrone inglesi. Serata inglese. Il signor Smith, inglese, nella sua poltrona e nelle sue pantofole inglesi, fuma la sua pipa inglese e legge un giornale inglese accanto al fuoco inglese». L`impatto iniziale può forse destare uno spiazzamento che colpisce il lettore, ma è così che prende il via una delle opere più riformatrici del teatro contemporaneo. Certo, per la platea di allora, La cantatrice calva fu inizialmente incomprensibile. Poi, però, venne il primo successo e, in un secondo tempo, arrivò anche il trionfo. Anzi, un trionfo tale che il testo innovativo di Ionesco è ancora sistematicamente rappresentato, ogni anno, in diverse lingue e in vari paesi. Addirittura, nel piccolissimo Théatre de la Huchette parigino, nel Quartiere Latino, la commedia viene messa in scena ininterrottamente da oltre cinquanta anni! Se per il pubblico del 1950 fu uno shock, per noi è un esempio dirompente della nostra follia di massa, così perfettamente rappresentata da quel "Teatro dell`Assurdo" di cui Ionesco è, insieme a Beckett, il riferimento più autorevole. Eugène Ionesco nacque in Romania, nel 1909, da padre romeno e madre francese. I genitori si trasferirono molto presto a Parigi e li, ancora bambino, la sua fantasia infantile fu investita dalle immagini orribili della Grande Guerra. La tragedia bellica lo segnò così tanto da imprimere, nella sua memoria, l`idea di figure  corpi deformi, sorrisi atroci, piedi biforcuti», ricorda lo stesso Ionesco nell`estate del 1939. Il suo teatro recupera il filo drammaturgico che da Jarry passa per Apollinaire, incontra Artaud e, nella scomposizione delle forme, prosegue la rappresentazione delle identità borghesi cristallizzate. Tra le sue opere più importanti odi maggior successo ricordiamo: La lezione (1951), Le sedie (1952), e il celeberrimo Il rinoceronte (1959). Poi accadde qualcosa. Negli anni Sessanta, infatti, venne duramente accusato di essere rimasto estraneo alle ragioni ideologiche che attraversavano, allora, il dibattito sociale e politico dell`allora egemone sinistra francese. Inevitabilmente, Ionesco entrò in accesa polemica con Roland Barthes, Bernard Dort e altri intellettuali della rive gauche che, tra l`altro, lo accusavano di proporre un teatro che non era né educativo né politico, ma terapeutico. Imperdonabile. Inoltre, gli fu rimproverato di sottrarsi al realismo. Altra eresia  particolare epoca. La sinistra ideologica non perdonava a Ionesco di favorire una certa rappresentazione scenica della classe borghese. Non era allineato ai dettami intellettuali e alla visione politica del momento. Ionesco rispose denunciando il conformismo della sinistra e rivendicando l`autonomia dell`arte, che non ha nulla da spartire con le ideologie, i dogmatismi d`apparato e con gli intellettuali organici di qualsivoglia potere politico. Tutta l`opera "assurda" di Ionesco è, comunque, un vasto universo interiore, fatto di luci e ombre, in cui si armonizzano gli opposti, ma in cui si scontrano i simili e gli omologhi. Il teatro è il luogo dove l`autore può liberamente interrogarsi sulla vita e sulla morte. Non è dunque un caso se, Eugène Ionesco, divenne un punto di riferimento per una nuova cultura di destra che si muoveva all`insegna della libertà. Così, nel 1970, in Italia sorgeva il Cidas (centro italiano documentazione e studi) che, di fronte alla doppia egemonia Dc-Pci,  organizzava nel 1973 il 1° Congresso per la difesa della cultura intitolato proprio «Intellettuali per la libertà» con il fine denunciato di rompere il monopolio culturale della sinistra. E a quella assise - tra i tanti che intervennero c`erano anche Giuseppe Berto, Julien Freund, Gabriel Marcel, Carlo Alianello, Robert Aron, Paul Feyarabend e Sergio Ricossa aderì, soprattutto, Eugène Ionesco. Apriti cielo: sull`Avanti!, in data 19 gennaio 1973, usciva un articolo titolato "Stavolta Ionesco è da dimenticare". L`ordine era stato impartito: le commedie di Ionesco, messe da anni in scena con continuità, da quel preciso momento furono messe al bando e non più programmate nei teatri italiani. L`egemonia aveva scoperto, o faceva finta di scoprire, che Il rinoceronte altro non era che una chiara denuncia contro il collettivismo e il marxismo. È sufficiente prendere visione dei titoli degli articolo comparsi in occasione di quel primo Congresso per comprendere l`ira di una certa sinistra nei confronti dell`iniziativa del Cidas. L`anno successivo, oltretutto, Ionesco diventava una delle firme di punta - insieme a Francois Fejtó, Antony Burgess e Renzo De Felice - del nuovo Giornale di Indro Montanelli, nato proprio per reagire all`egemonia della sinistra ideologica. Ancora: nel 1987 lo stesso Ionesco, sempre sull`onda di questa sua vocazione anti-ideologica e libertaria, arriverò a iscriversi al Partito Radicale italiano di Marco Pannella con le seguenti parole: «Io sono violentemente nonviolento. Se questo partito dovesse cessare, ciò sarebbe disastroso perché in esso ci sono i semi di una spiritualità che può essere infinitamente benefica per gli uomini». Un atto di fiducia o (anche) una profezia? Forse un ulteriore atto di coerenza con la sua battaglia contro tutte le formule convenzionali, tutti i clichés, tutti i luoghi comuni. Quest`anno, comunque, grazie alla donazione degli archivi privati dell`autore da parte della famiglia, la Biblioteca Nazionale di Francia ha organizzato, a Parigi, una mostra di centinaia di documenti inediti su Ionesco. L`esposizione è allestita fino al 3 gennaio. E forse si potrà leggere, in originale, quel passo del suo Diario in frantumi in cui il drammaturgo francese scriveva: «La commedia umana non mi assorbe abbastanza. Non appartengo interamente a questo mondo». Morì a Parigi nel 1994.



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