Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
mar 30 apr. 2024
  cerca in archivio   RASSEGNA STAMPA
Farmacisti sottobanco

• da Tempi (Il Giornale) del 22 ottobre 2009

di Benedetta Frigerio

Con l’introduzione della pillola abortiva Ru486 nelle farmacie ospedaliere (che comunque non sarà venduta in quelle aperte al pubblico) si riapre un conflitto mai risolto. Quello del diritto all’obiezione di coscienza per i farmacisti, oggi regolato da norme contraddittorie su cui né il Parlamento né l’Ordine dei medici hanno ancora preso posizioni chiare. Col risultato che il diritto stesso all’obiezione oggi viene messo in dubbio, mentre il proliferare di pillole abortive rende ancora più incandescente il dibattito. Per questo l’Unione farmacisti cattolici italiani ha organizzato per il 23 ottobre un dibattito per studiare soluzioni possibili. Fino a ieri a generare la contraddizione c’era il Norlevo, farmaco meglio conosciuto come "pillola del giorno dopo", spacciato a lungo come semplice anticoncezionale, ma i cui effetti, coane recitano il bugiardino e una sentenza del Tar del Lazio del 2001, possono essere abortivi. Le cose si complicano per l’esistenza di un decreto regio del 1938, secondo cui i farmacisti non possono «rifiutarsi di vendere le specialità medicinali di cui siano provvisti». La norma, che nelle intenzioni del legislatore serve a garantire l’efficienza del servizio di cura (d’altronde alla data in cui fu redatta esistevano solo farmaci a scopo terapeutico), viene di fatto utilizzata per obbligare i farmacisti a vendere farmaci abortivi. Dall’altra parte, però, l’articolo 1 del codice deontologico della categoria prevede esplicitamente la clausola di coscienza. La contraddizione evidente tra queste due norme non è mai stata sanata da una presa di posizione dell’Ordine nazionale (né autonoma né sollecitata dagli Ordini regionali), unico organismo che potrebbe fare chiarezza su questa zona grigia, sancendo la cogenza dell’articolo 1. «Molti colleghi preferiscono cercare di ritagliarsi spazi per l’obiezione in silenzio, anziché condurre una battaglia per sollecitare una decisione ufficiale», spiega a Tempi Piero Uroda, presidente dell’Unione farmacisti cattolici italiani, denunciato lo scorso luglio per essersi rifiutato di vendere il Norlevo. Non manca poi chi sceglie di andare contro la propria coscienza «per non pagare multe pesanti», come nota il farmacista mantovano Stefano Tamassia, seguito da Matteo Manduzia, che da Foggia confessa di sentirsi «obbligato a obbedire a quello che il medico prescrive anche se non vorrei». L’uso strumentale della stampa Ma c’è anche chi in questi anni ha continuato a lavorare difendendo «un diritto che è inviolabile», prosegue Uroda, e lo ha fatto andando incontro alle minacce di minoranze radicali. È il caso di un altro farmacista romano, denunciato perché obiettore solo pochi mesi prima di Uroda e in una modalità troppo simile per scartare la possibilità di un legame fra le due vicende. Le denunce vengono da due donne appoggiate dall’associazione Vita di donna, promotrice, insieme a quella radicale Luca Coscioni del servizio "Sos pillola del giorno dopo". Secondo Uroda si tratta di una tattica: «Si cercano gli obiettori, si richiede loro la pillola per poi denunciarli, pubblicizzando il fatto sulla stampa in modo da farci sembrare numerosi e allo stesso tempo intimidirci». La tesi è avvalorata dai volantini diffusi nell’aprile 2008 da alcuni centri sociali italiani, che invitavano a segnalare la presenza di obiettori per cercare di impedirne l’azione. Non a caso, l’anno scorso a Bologna due farmacie hanno subìto le proteste di cinquanta attiviste del centro sociale Tpo: «Ci hanno dato dei violenti mentre ci insultavano e ci accusavano di bloccare un servizio mentre ci riempivano le farmacie di polistirolo, costringendoci a chiudere per un pomeriggio». Spera in un pronunciamento dell’Ordine anche il Forum delle associazioni familiari dell’Umbria che ha iniziato a monitorare, denunciandoli, «i tentativi della burocrazia sanitaria regionale di comprimere la libertà di coscienza», da quando, nel dicembre 2006, si erano rivolti al Forum due dipendenti di una Asl che raccontavano di essere soggetti a pressioni, minacce di trasferimenti e turni forzati solo perché contrari all’aborto. C’è chi è persino arrivato a cambiare lavoro, dato che «in Emilia Romagna - racconta una donna chiedendo l’anonimato - le pressioni sono troppo forti. Il titolare della farmacia in cui lavoravo mi costringeva a vendere la pillola del giorno dopo in seguito a una nota dell’Asl. Ho iniziato a domandarmi se valesse davvero la pena andare avanti per mantenere un posto di lavoro. Alcuni amici dicevano che non potevo fare altrimenti, anche per la situazione economica della mia famiglia. Ma era davvero così? Mi misi a cercare un altro lavoro, e, ad un certo punto, rischiando, decisi che non avrei più venduto il Norlevo». Il clima ostile all’obiezione ha ottenuto gli effetti cercati. «La cosa peggiore è che la paura ci ha ridotti a un manipolo. Si rivolgono a me colleghi che vivono la sofferenza di dover vendere la pillola, chi cerca di ottenere la deroga dal titolare, chi rifiuta di farlo, assumendosene i rischi», racconta Fausto Roncaglia, presidente dell’Unione farmacisti cattolici dell’Emilia Romagna. «Non succede mai - chiosa il presidente - che per la scelta di uno di noi la donna non riesca ad avere la pillola che chiede, in realtà quello che dà fastidio è che ci sia chi con la sua presenza interroghi le coscienze». Paradigmatica la storia di Maria Teresa, che non tiene il Norlevo in farmacia «visto che ce ne sono altre due qui vicino e che nessuno si è mai lamentato». Le cose si complicano quando viene istituito un consultorio che vuole obbligarla a vendere il farmaco. «Io mi sono rifiutata rispondendo che se volevano dovevano mandare le donne nei presidi vicini, ma ne hanno fatto una questione di principio. Così, l’Ordine mi ha consigliato di obbedire per non aver grane. Ma preferisco continuare a seguire il Papa». Infatti, Benedetto XVI, dopo l’approvazione da parte dell’Agenzia italiana per il farmaco della commercializzazione della Ru486, ha invitato i farmacisti cattolici a fare obiezione, provocando nei loro clienti «un sussulto di umanità, affinché ogni essere sia tutelato dal concepimento». «Io conclude la farmacista - sono convinta che i pochi che fanno obiezione devono rimanere il lievito nella pasta che susciti nella persona almeno una domanda sull’atto che sta compiendo». «Si auspica comunque che la situazione si risolva», spiega a Tempi la professoressa Assuntina Mortesi, componente del Comitato nazionale di bioetica, indicando una via possibile ai farmacisti: «Non serve appellarsi alla Legge 194 conce spesso si pensa, ma appellarsi al codice, chiedere che l’Ordine ribadisca quanto sancito dalla clausola di coscienza».



IN PRIMO PIANO







  stampa questa pagina invia questa pagina per mail