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Non fare il gioco di Di Pietro

• da Corriere della Sera del 4 gennaio 2010

di Paolo Franchi

Ogni giorno ha la sua croce. Sabato ha provveduto, con ampio e prevedibile seguito di indignate reazioni, Luigi De Magistris, proponendo, «senza trucco e senza inganno», un suo personalissimo lodo per voltare pagina: il Cavaliere lasci indisturbato l’Italia, magari con Apicella e una avvenente fanciulla, e non se ne parli più. Ieri ci ha pensato, suscitando anche lui, come da copione, una valanga di polemiche, Antonio Di Pietro. Antonio Di Pietro che, non volendo lasciare la scena al collega— concorrente — ha fatto ricorso a un classico del suo repertorio, l’attacco al capo dello Stato. Reo, stavolta, di essere stato così «incauto», nel suo messaggio di Capodanno, da mettere addirittura «il vento in poppa ai pirati» del centrodestra, che non mancheranno (e anzi già non mancano) di aggrapparsi alle sue parole in materia di riforme per aggredire le istituzioni. Enrico Letta sostiene che così si fa soltanto il gioco di Silvio Berlusconi. Può darsi, anzi, con ogni probabilità è vero. Ma non è questo il punto. O, almeno, non è questo il punto che qui intendiamo sottolineare. Mestiere vorrebbe forse che, in una simile circostanza, si commentassero le affermazioni di De Magistris e di Di Pietro; ci si interrogasse ancora una volta sulla cultura politica e istituzionale (si fa per dire) cui si ispirano; si indagasse sulle preoccupazioni che possono provocare in un Pd che si rifiuta a leggi ad personam, ma per Berlusconi non ipotizza certo l’esilio, e nella posizione di Giorgio Napolitano si riconosce pienamente; si vagliassero le risposte, alcune a tono, altre meno, del Pdl. Il fatto è, però, che basta e avanza la nuda cronaca, perché le parole dell’aspirante leader e quelle del leader in carica dell’Italia dei Valori si commentano in tutta evidenza da sole. E il fatto che con ogni probabilità buona parte degli elettori dell’Idv (e magari anche un numero non esiguo di elettori del Pd) le condividano può preoccupare e preoccupa, certo, e meriterebbe l’apertura di una battaglia politica e culturale ben più profonda e appassionata di quella condotta sinora, ma non basta a renderle più significative per chi le riforme le vuole davvero, e dovrebbe soltanto andare avanti per la sua strada, e farle. Si è aperto, a quanto pare, un concorso, pericoloso ma anche un po’ grottesco, a chi la spara più grossa. Non è il primo, in questi anni, e certo non solo a sinistra, ce ne sono stati molti. Chi pensa che siano stati anche troppi, e che sia arrivato il momento (sempre che il tempo non sia scaduto) di voltare pagina, cominci con il rifiutarsi di fare da cassa di risonanza a una simile contesa.



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