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Fine decennio

• da Il Corriere Adriatico del 4 gennaio 2010

di Fulvio Cammarano

2010: un bell’anno, tondo tondo, perfetto per commenti e bilanci. In questo caso, oltre alle riflessioni sull’anno che inizia, si possono aggiungere quelle sul decennio che finisce. Un secolo fa, all’inizio del ‘900, si assisteva ad una grande euforia in gran parte del mondo occidentale, al punto che si parlava apertamente di belle époque, intendendo definire un periodo di certezze circa le sorti “progressive†del mondo. Sembrava l’inizio di un’età in cui sarebbero state bandite per sempre guerre, povertà e ignoranza. Sappiamo tutti come è andata a finire: nel giro di pochi anni la I guerra mondiale diede il via ad un orripilante escalation che ci avrebbe condotto a Auschwitz e Hiroshima, baratri da cui non si può più tornare indietro.

Un secolo dopo, invece, la fine del decennio non si presta a quel genere di euforia: l’avvio, nel 2001, con l’attentato dell’11 settembre, è stato catastrofico non solo per l’atto terroristico in sé, ma perché ha segnato in modo indelebile gli anni successivi trasformandoli in un’epoca di paura e insicurezza che nessuna guerra, più o meno preventiva e/o simmetrica, ha mostrato di poter intaccare. Il decennio della paura, lo potremmo chiamare: una paura basata su aspetti fattuali (il terrorismo islamico e gli errori della politica estera americana) e su aspetti artificiali (il moltiplicarsi di classi politiche mediocri prive d’idee e proprio per questo attive nel diffondere ogni genere di timori). Anche negli altri campi però l’euforia post 1989, quella della fine della storia e delle ideologie, per intenderci, alimentata dal mito del nuovo millennio, non ha trovato conferme. Si è sgonfiata, con botto fragoroso, l’illusione della crescita economica senza ostacoli, tutta incentrata su una finanza virtuale e sganciata dalla produzione reale. La povertà, invece, sta crescendo così come il numero delle persone che muoiono di fame e malattie, nonostante il decollo industriale di Cina e India che a sua volta, però, sta accentuando i gravi problemi d’inquinamento planetario senza che si sia trovato un tavolo negoziale credibile nonostante i preoccupanti segnali di deterioramento dell’ambiente. Le disuguaglianze tra Paesi ricchi e poveri aumentano mentre il principale incubo per la generazione post 1945, la catastrofe atomica, non è affatto scomparso dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Forse, anzi, è diventato più angoscioso in quanto si estende il numero dei paesi che dispongono (o si apprestano a disporre) di ordigni atomici mentre cresce l’allarme per il possesso di grossolane, ma ugualmente pericolose, armi nucleari da parte di terroristi privi di qualsiasi riferimento statale. Alla scienza, grande vanto e speranza dell’inizio del XX secolo, nessuno assegna più il compito di placare le nostre angosce. Non è questo il suo fine, come mostrano gli studi di astrofisica che confermano una per nulla consolatoria irrilevanza quantitativa non solo del nostro pianeta o della sua galassia, ma di tutta la materia esistente nell’universo, rispetto ad un qualcosa che non si riesce ancora a definire diversamente da anti-materia. Altro che centralità dell’uomo e del suo sistema! Ma anche per ciò che ci riguarda da vicino, non va molto meglio: sul confine tra la vita e la morte, ad esempio, ne sappiamo meno di prima, mentre le speranze suscitate solo pochi anni fa dalla ricerca medica sulla imminente sconfitta del cancro sono rimaste tali: la decodificazione del genoma, apparente panacea per la soluzione di tutti i mali, si è rivelata solo la premessa di una battaglia che sembra ancora lunga. Persino la fisica delle particelle sembra segnare il passo: niente teoria unificante delle interazioni elementari, già intravista da Einstein. Non è la scienza, ovviamente ad essere in ritardo, ma sono le speranze e le illusioni incautamente alimentate a non trovare conferme e dunque a creare uno stato di smarrimento, soprattutto se mettiamo in relazione le domande ancora senza risposta della ricerca con l’estendersi incontrollato della tecnologia. Pensate alle comunicazioni: dal collasso informatico del millenium bug a twitter in soli dieci anni!

Però come l’economia senza la materialità della produzione umana si trasforma in bolla speculativa, lo stesso può avvenire per la tecnologia: senza una concreta e consapevole azione umana la crescita tecnologica appare priva di senso. Forse la sfida del nuovo decennio sarà proprio questa: trasformare la paura che nasce dalla perdita del contatto tra gli uomini e la loro produzione materiale ed immateriale, in un nuovo modo di concepire il rapporto tra umanità, natura e tecnologia. Un tema generale dalle mille ricadute nella vita di tutti i giorni (consumi, produzione, cultura, ricerca ecc) su cui, tra l’altro, avremo modo di misurare la qualità della classe politica, quella vera, quella che guida i cambiamenti e non si limita ad aspettare i sondaggi.
 



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