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Le candidature sofferte e la solitudine di un partito in cerca della sua linea

• da Corriere della Sera del 5 gennaio 2010

di Massimo Franco

La scelta tormentata dei candidati del centrosinistra alle regionali del 2010 non nasce da cattiva volontà. Riflette una crisi più profonda e probabilmente irrimediabile, almeno nel breve periodo. Il progetto delle «alleanze più larghe» da costruire intorno al Pd rischia di rivelarsi un mito. La stessa idea del partito-pivot che calamita compagni di strada dopo la fase della solitudine e dell’autosufficienza deve fare i conti con una situazione diversa. In realtà, mai come in questa fase la forza guidata da Pierluigi Bersani appare sola e divisa al proprio interno: innervosita e paralizzata da un campo del centrosinistra coperto di macerie. Nel Pdl i giochi sono quasi tutti fatti, seppure con una scia di veleni fra il grosso del Pdl ed il presidente della Camera, Gianfranco Fini; e con una competizione sempre più sottolineata fra il partito berlusconiano del nord e la Lega. Ma l’opposizione è costretta a rinviare alcune decisioni ancora di qualche giorno.

Lazio, Campania e Puglia, tre regioni nelle quali il centrosinistra è al governo da tempo ed appariva quasi imbattibile, si stanno rivelando le vetrine non del buongoverno ma della crisi, delle faide interne e degli scandali. E politicamente, le candidature che stanno affiorando mostrano la difficoltà sia di ricucire i fili strappatisi ai tempi dell’Unione con l’area comunista; sia di ridisegnare l’alleanza con l’Idv di Antonio Di Pietro; sia di fare entrare nella propria orbita l’Udc di Pier Ferdinando Casini. L’idea che i centristi potessero sostituire la Margherita come sponda moderata formalmente è ancora in piedi. L’aveva accreditata la proposta di Casini, subito rientrata, di un comitato a difesa della democrazia contro Silvio Berlusconi nei giorni in cui sembrava concreto il rischio di elezioni anticipate. Ma nel momento in cui la fine della legislatura è meno probabile, tutto torna nebuloso.
L’Udc sottolinea la strategia tradizionale delle alleanze «caso per caso». Si avvicina al Pd solo se asseconda il progetto di smantellare il bipolarismo. Quanto all’estrema sinistra, doveva diventare quasi per inerzia uno degli interlocutori naturali del nuovo progetto. Ma la frantumazione di quell’area è ormai un dato di fatto. E per paradosso l’unico personaggio di Rifondazione comunista che avesse vinto cinque anni fa, Nichi Vendola, viene estromesso dalla corsa in Puglia. Al suo posto è candidato Francesco Boccia, uomo di raccordo fra il partito regionale e la nuova segreteria; in particolare il vice di Bersani, Enrico Letta. Ma la scelta introduce un’incognita sulla possibilità che Boccia sia legittimato anche attraverso il meccanismo delle primarie. Vendola minaccia di candidarsi comunque. Ed il Pd deve tentare di agganciare l’Udc senza rinunciare ad Antonio Di Pietro I rapporti con l’Idv appaiono peggiori di un anno e mezzo fa. Bersani non può non allearsi con Di Pietro, per ragioni numeriche prima ancora che politiche. Ma si tratta di un sodale ben diverso da quello scelto dall’allora segretario Walter Veltroni: più aggressivo, più radicalizzato, e più polemico. Si tratta di un alleato ingombrante, col quale l’unico rapporto possibile è la competizione conflittuale. Inoltre, il Pd è obbligato ad uno smarcamento a intermittenza sia per l’atteggiamento dell’Idv nei confronti del Quirinale; sia per una virulenza che ha indotto Enrico Letta a definire Di Pietro «il miglior alleato di Berlusconi».

La confusione nel Lazio conferma il disorientamento nel Pd. Dopo che nel 2008 Francesco Rutelli è stato sconfitto dall’attuale sindaco di Roma, Gianni Alemanno, aumenta la possibilità di perdere la regione. Lo scandalo che ha costretto alle dimissioni il presidente, Piero Marrazzo, è un pessimo viatico; ma ha anche rivelato un vuoto di classe dirigente che nessuno sembra in grado di riempire. Così, mentre il Pd insegue una candidatura, Idv, Prc, Pdci, Socialismo 2000, la «federazione della sinistra», chiedono provocatoriamente: «Chi lavora per consegnare il Lazio alla destra?». A sentir loro, sarebbe il Pd con le sue beghe interne. Quelle fra il Pdl e Fini, e fra Pdl e Lega con Alemanno che paventa il sorpasso a nord, per quanto virulente e velenose le bilanciano solo in parte.
 



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