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L'ardua quadratura del cerchio del Pd, fra Di Pietro e Casini

• da Il sole 24 ore del 5 gennaio 2010

di Stefano Folli

Enrico Letta ha ben riassunto la seria contraddizione in cui si trova il Partito democratico in questo inizio d’anno. Da un lato, come ha detto al Tg3, c’è una semplice verità: «In base ai voti delle europee, alle elezioni di marzo noi saremmo competitivi solo in tre regioni su tredici». Ciò significa che allargare al massimo la rete delle alleanze è non solo opportuno, ma imperativo. Se si presenta da solo o quasi, il Pd rischia il suicidio.

Dall’altro lato, tuttavia, lo stesso Letta ha accusato Di Pietro di essere «il miglior alleato di Berlusconi», a causa delle pesanti critiche rivolte dal capo dell’Italia dei valori al presidente della Repubblica. Di Pietro non riconosce alcuna efficacia al ruolo di «ga-ranzia» che Napolitano ha rivendicato per sé e considera il partito berlusconiano – logico interlocutore del centrosinistra nel negoziato sulle riforme – nient’altro che «una nave dei pirati».

Qui c’è tutto il paradosso in cui si sta avvitando il Pd. Di Pietro sarà anche, oggettivamente, «il miglior alleato» del premier, per via delle sue provocazioni. Ma è tuttora un alleato di Bersani: al momento irrinunciabile. Almeno così sembra. Ed è tutto da verificare che il vertice del Pd riesca in poche settimane a quadrare il cerchio. Primo, si tratterebbe di regolare i conti con l’Italia dei valori, impedendo che un partito del 6 per cento circa continui all’infinito a far ballare tutto il centrosinistra al ritmo della sua musica. Secondo, si dovrebbe coinvolgere in armonia lo stesso Di Pietro, Casini e dove possibile qualche spezzone della vecchia sinistra radicale in modo da realizzare quella larga alleanza che è indipensabile, come ricorda Letta, per non soccombere nel voto regionale.
È evidente che le due cose stanno male insieme. Di Pietro ha usato toni ruvidi contro Napolitano perché ha un ovvio interesse a sabotare qualsiasi ipotesi di dialogo con Berlusconi. E non solo sulla problematica riforma della giustizia: anche sul resto, a cominciare dalla «bozza Violante». Del resto, l’ex magistrato sa bene che la sua linea intransigente trova echi e simpatie all’interno del Pd, nella minoranza sconfitta da Bersani e D’Alema. Quando allude a «cedimenti» nei confronti del premier, egli è consapevole di non essere solo. L’equivoco è stato fino a oggi più o meno tollerato, ma rischia di rivelarsi distruttivo. Soprattutto perché Bersani e D’Alema coltivano, come è noto, un asse strategico che dovrebbe condurre all’alleanza privilegiata con il centro di Casini. Il quale però non ci vede chiaro e infatti si sta spostando di nuovo, con cautela, verso la maggioranza: si veda in proposito la recente intervista a Panorama.

Il risultato è una confusione inquietante, tanto che la direttrice dell’Unità, Concita De Gregorio, scriveva ieri parole dure indirizzate ai dirigenti del Pd: «Il rischio di perdere le regioni che il centrodestra già governa è altissimo... Mi permetto di osservare che la strategia del silenzio sia un errore: bisogna che i leader rispondano ai loro elettori, che lo facciano comunicando anche eventuali difficoltà... che spieghino cosa sta succedendo nella trama delle alleanze, con l’Udc nel Lazio e con l’Idv in Puglia».

Forse la realtà è che non si riesce ad aprire a Casini senza rompere con Di Pietro. E che in certe regioni mancano i nomi forti per superare i contrasti. Vedremo cosa farà Francesco Boccia a Bari, ma il passo lento dell’alpino Bersani dovrà trasformarsi in una marcia più spedita.



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