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Il Pd in affanno spiazzato dai Radicali

• da La stampa del 6 gennaio 2010

di Carlo Bertini

La partita a scacchi sulle candidature per le regionali, alla faccia dell’autonomia delle scelte locali, si gioca tutta dentro un perimetro di un chilometro quadrato nel centro della capitale. Una partita anomala, con tre giocatori, Radicali, Pd e Udc, due regioni in palio, Puglia e Lazio, e uno spettatore, Antonio Di Pietro, che alla fine si concluderà senza un vincitore e con molti feriti sul campo. La prima mossa la fanno i Radicali alle undici di mattina dalla sede di Torre Argentina, con l’annuncio della candidatura di Emma Bonino nel Lazio che spiazza Bersani e l’elettorato dei Democratici. La seconda mossa parte da Largo del Nazareno, sede del Pd, con l’annuncio di un «mandato esplorativo» a Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma, per cercare di costruire un’alleanza larga nel Lazio e provare così a mettere all’angolo l’Udc. Cento metri più in là verso piazza di Spagna, dalla sede dell’Udc di via Due Macelli, parte la terza mossa: l’Udc - annuncia Casini - appoggerà Boccia in Puglia anche se il «comunista» Nichi Vendola resterà in campo, mettendo così in conto pure una sconfitta.
Un gran pasticcio insomma, che tra meno di una settimana potrebbe avere questo esito, dato da tutti i contendenti come il più probabile: in Puglia il Pd sarà costretto ad evitare le primarie, a far correre Boccia come candidato governatore, forte di una coalizione con l’Udc e l’Idv, pagando il prezzo di una rottura con la sinistra radicale che appoggia Vendola, già sul piede di guerra. Pur correndo il rischio di essere additato alla fine come il capro espiatorio di una sconfitta del centrosinistra in Puglia, Vendola non ha intenzione di recedere e anche ieri ha ribadito che la sua candidatura «è confermata».
Nel Lazio, il Pd alla fine sarà costretto a sostenere la Bonino senza far scendere in campo un proprio candidato. A confermarlo sono le stesse parole di Zingaretti che si dice pronto «a verificare candidature autorevoli, anche all'esterno del Pd, in modo da costruire una coalizione larga e capace di vincere». Anche se da Casini è giunto un no comment sul Lazio, la mossa del Pd per metterlo alle strette si è subito rivelata spuntata. Mezz’ora dopo che dalla sede del partito è stato lanciato il comunicato con l’investitura a Zingaretti, l’interessato si tirava fuori dalla mischia chiarendo che il suo incarico è mirato solo a cercare un «terzo» candidato vincente contro la destra. E Casini si è tenuto subito lontano dalla partita, anche perché l’Udc ha già in animo di sostenere Renata Polverini sponsorizzata da Fini. Se il quadro è questo, non c’è da stare allegri per Bersani e company. Il segretario, in mezzo a mille beghe, ha dovuto pure sorbirsi un’altra staffilata da Di Pietro che dal suo blog lo ha invitato a dire se il Pd sta dalla sua parte oppure no, prima di decidere le alleanze insieme. E così c’è voluta una telefonata del segretario per dire a Tonino che no, nessuna volontà polemica con l’alleato, ma insomma ci vuole senso di responsabilità da parte di tutti...
E dunque in una giornata così non è un caso che nel Pd riparta la bagarre. La minoranza carica le armi perché, come osserva Beppe Fioroni, «se Casini ci dice no su Zingaretti e ci fa perdere il Lazio, allora vuol dire che gioca in prospettiva una partita tutta a destra con Fini per il dopo Berlusconi e dunque non è affidabile per un’alternativa di centrosinistra. In quel caso i fautori dell’alleanza strategica con l’Udc dovranno darsi una regolata...». Bersani e D’Alema sono avvisati. I veltroniani non sono da meno, perché per dirla con Walter Verini, in lotta per imporre la candidatura di Mauro Agostini in Umbria a colpi di statuto contro un terzo mandato della dalemiana Lorenzetti, «la riflessione che si impone è che un partito del 30% deve investire più su se stesso e sulle alleanze con i cittadini piuttosto che giocare a Risiko con il ceto politico».



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