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Messo male, ma è un Pd da quota 30

• da Europa del 6 gennaio 2010

Dovessimo giudicarlo da questo inizio anno e dai tormenti sulle candidature regionali, dovremmo riconoscere che il Pd è davvero mal messo. C’è chi si concentra sugli spettacoli poco dignitosi in Puglia, nel Lazio e in Calabria.
Chi sulla competizione sempre più aspra con Di Pietro. Chi sulle profonde divisioni interne sul tema delle riforme istituzionali, da tentare o non tentare con la destra. Chi infine (Europa ieri, ma anche Antonio Polito) sull’incomprensibile ritardo nell’entrare con proposte forti nell’unico agone dove Bersani potrebbe essere competitivo: quello del rilancio economico nello scenario postcrisi.
Nel frattempo però gli indicatori, per quanto da prendere con le molle, ci segnalano un Pd in crescita elettorale fino a sfiorare quota 30 per cento, che per qualsiasi leader democratico significa quota salvezza. Quale sia il motivo preciso della ripresa di consensi non si sa, sta di fatto che un effetto legato al nuovo segretario c’è stato e perdura.
Ecco una spiegazione per l’understatement bersaniano, da aggiungere a quella, ovvia, che riguarda il suo carattere e i suoi riconosciuti e rivendicati limiti comunicativi.
Messa da parte ogni speranza di vincere le Regionali e archiviato il tema della spallata a Berlusconi – che poteva emozionare solo la brava gente del 5 dicembre – Bersani colloca molto più avanti l’ora della verità, e al 2010 chiede solo di evitargli rovesci elettorali clamorosi e di lasciar sfogare la rabbia fin qui incanalata senza costrutto nel dipietrismo.
Il calcolo è sensato. Comprende la necessità di sfuggire alle sirene del dialogo sulle istituzioni, verso il quale va mostrata disponibilità ma nessuna illusione né passione. Non può invece valutare la variabile della reazione interna in caso di perdita contemporanea di Puglia, Lazio e Calabria (data la Campania per perduta ma Liguria e Piemonte per imperdibili).
Era facile prevedere che il Pd di Bersani non sarebbe stato un partito più solidale al proprio interno di quello di Veltroni e Franceschini: semplicemente, si sono rovesciate le parti fra sospetti sabotatori e presunti sabotati.
Certo non mancheranno, a liste regionali fatte, gli impegni solenni a remare tutti nella stessa direzione.
Dopo il voto, invece, chissà quale sarà il clima. I motivi per recriminare si accumulano fin d’ora, dall’incredibile pasticcio combinato nella regione di competenza dalemiana e lettiana alla desolazione romana, dove giustamente avanzano (dopo lo squagliamento del Pd) candidati come Emma Bonino che potevano essere presi in considerazione a livello di coalizione fin dall’inizio, e che Zingaretti farà bene a valutare seriamente.
Per i malpancisti di Area democratica suona però come avvertimento la vicenda Rutelli. È il segnale che il bipolarismo all’italiana è malato e improduttivo, ma fuori di esso c’è solo tanta confusione aggiuntiva.
Una delle acquisizioni del riformismo italiano, faticose ma ferme, è che il solidarismo generico e buonista non risolve ma aggrava i problemi legati all’immigrazione. Non ci sono solo diritti da rivendicare ma anche doveri cui corrispondere: vale per gli italiani come per chiunque altro, e non sempre la sinistra se n’è ricordata (per gli italiani e per gli altri). È vero che questa visione seria, equilibrata e al limite severa del tema immigrazione non è ancora pienamente digerita nel centrosinistra, ma da qui a farne motivo di rottura e per di più di incomprensibili manovre bordeggiando fra i due poli, ne corre.
Ciò che colpisce dell’intervista di ieri di Rutelli al Giornale non è l’uso strumentale che Feltri ne può fare, addirittura nello stesso momento promuovendo come interlocutore un ex co-fondatore del Pd e additando al solito disprezzo Casini.
Quanto casomai il senso di improvvisazione tattica che promana dall’attacco a Fini, dalla bocciatura dell’unica iniziativa parlamentare bipartisan che abbia aperto una breccia (favorevole anche la Chiesa) nella linea xenofoba imposta alla destra dalla Lega. E dall’intento abbastanza evidente – più che di rendersi utili alla soluzione di un problema – di aprirsi uno spazio politico ed elettorale che fin qui la nuova Api non ha trovato.



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