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Il coraggio di Brunetta e la Carta da rivoluzionare

• da Il Giornale del 6 gennaio 2010

di Paolo Armaroli

Per aver affermato che l’articolo 1 della Costituzione è aria fritta e che la prima parte della nostra legge fondamentale meriterebbe di essere aggiornata, in quanto concetti come quelli del mercato, della concorrenza e del merito sono pressoché ignorati, Renato Brunetta è stato criticato a dritta e a manca. A dritta, perché a voler mettere troppa carne al fuoco, si rischia di rimanere a mani vuote. Senza neppure la riforma di quella seconda parte della Carta, promessa da un trentennio e sempre rinviata alle calende greche. E a manca, perché il sacrilego ministro per la Pubblica amministrazione e le innovazioni, che pure meriterebbe un premio Nobel per la medicina per aver risanato d’incanto e fatto tornare al lavoro un esercito di impiegati pubblici, si è permesso di dubitare che la prima parte della suprema legge della Repubblica sia davvero intangibile.
I dubbi del centrodestra si possono capire. Dopo tutto, meglio qualcosa - come i soldi, tutta, maledetta, anzi benedetta, e subito - piuttosto che niente. Il centrosinistra, a sua volta, è sempre più in uno stato manicomiale. Ridotto com’è, non riesce neppure a prevedere il passato. Il presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro, è una provetta giurista. Ciò nondimeno, dice una solenne sciocchezza quando dichiara (La Repubblica, 3 gennaio) che «Brunetta dovrebbe sapere che la prima parte della nostra Carta, come sancito anche dalla Corte costituzionale, è immodificabile». Assomiglia a quel ministro degli Esteri iracheno che escludeva che gli americani fossero già a Bagdad. Sono stati infatti oggetto di revisione gli articoli 10, 26, 27, 48 e 51. Possibile che questa cinquina sia passata del tutto inosservata?
Ma c’è di più. Una parlamentare radicale in quota Pd, Donatella Poretti, ha presentato nella scorsa legislatura alla Camera e in questa al Senato un progetto di legge di riforma dell’articolo 1 della Costituzione del seguente tenore: «La Repubblica italiana è uno Stato democratico di diritto fondato sulla libertà e sul rispetto della persona». Un’iniziativa legislativa sottoscritta da Francesco Cossiga, ossia da un cattolico liberale per il quale il diritto costituzionale non ha segreti. La relazione al progetto ne illustra i perché.
Innanzitutto perché l’attuale formulazione, secondo la quale «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro», fu un compromesso escogitato da Amintore Fanfani. Palmiro Togliatti propose «Repubblica dei lavoratori». Mentre Ugo La Malfa e Gaetano Martino contro-proposero «fondata sui diritti di libertà e i diritti del lavoro». E poi perché sono le cosiddette democrazie popolari a enfatizzare i lavoratori. Quelli, ormai introvabili, con i calli alle mani. Come dimostrano le Costituzioni cubana, dell’ex Unione sovietica e cinese. Un’iniziativa legislativa, questa, che non ha destato scandalo. È semplicemente passata sotto silenzio. E non ha fatto un passo avanti né a Montecitorio né a Palazzo Madama.
Dopo che ben tre commissioni bicamerali per le riforme costituzionali si sono invano occupate della sola seconda parte della Costituzione, dopo che altrettanto hanno fatto la Grande Riforma del centrodestra cancellata dal referendum e la revisione operata in solitudine dal centrosinistra dei rapporti tra Stato e Regioni, dopo le reiterate prediche delle massime cariche dello Stato - a cominciare da Giorgio Napolitano e Gianfranco Fini - la prima parte della Costituzione assomiglia sempre più alla Milizia volontaria di sicurezza nazionale ai tempi del Ventennio. Chi la tocca avrà del piombo.

 

Eppure il più severo critico di questa parte della nostra Carta è un beniamino delle sinistre come Piero Calamandrei. Più citato che letto, per il vero. Nella seduta del 4 marzo 1947 dell’Assemblea costituente ne disse di tutti i colori. Non un padre, piuttosto la suocera della Costituzione.
A suo avviso, il progetto di Costituzione non era «un esempio di bello scrivere». Non c’era concordia di opinioni sulle mete. «È una Costituzione tripartitica, di compromesso, molto aderente alle contingenze politiche dell’oggi e del prossimo domani: e quindi poco lungimirante». «Pecca di genericità, di oscurità, di sottintesi». «È un po’ successo, agli articoli di questa Costituzione, quello che si dice avvenisse a quel libertino di mezza età, che aveva i capelli grigi ed aveva due amanti, una giovane e una vecchia: la giovane gli strappava i capelli bianchi e la vecchia gli strappava i capelli neri; e lui rimase calvo. Nella Costituzione ci sono purtroppo alcuni articoli che sono rimasti calvi».
A proposito dell’articolo 1, Calamandrei si domanda: «Quando dovrò spiegare ai miei studenti che cosa significa giuridicamente che la Repubblica italiana ha per fondamento il lavoro, che cosa potrò dire?». E aggiunge: «Quando si va a vedere, in materia economica, quali siano queste direttive le quali dovrebbero servire di guida e di lume per coloro che verranno dopo di noi, si incontrano numerosi articoli in cui sono commiste tendenze diverse e contraddittorie». E Benedetto Croce sosteneva che i compromessi erano più che altro sulle parole. Dilatabili a piacimento. Dagli eredi dei comunisti e dei democristiani di sinistra non si può pretendere granché. Ma il centrodestra non può avere paura del coraggio. E deve tornare finalmente sulla strada di una autentica rivoluzione liberale. Ora o mai più.



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