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Lavoro, De Lucia: il Primo maggio non si esaurisca in una liturgia autocelebrativa del sindacato
L'alternativa è tra conservazione e riforma, tra tenere il Paese in ostaggio di una crisi permanente o provare a uscirne.

Roma, 1 maggio 2010

• Dichiarazione di Michele De Lucia, tesoriere di Radicali Italiani

Il Primo maggio 2010 si presenta come i precedenti: l’ennesima replica di una liturgia autocelebrativa del sindacato. Un sindacato – lo stesso della mancata attuazione dell’articolo 39 della Costituzione e delle trattenute automatiche – che, svolgendo un ruolo da veto-player al quale non sembra volere e sapere rinunciare, è stato pienamente corresponsabile, assieme alla partitocrazia della spesa pubblica clientelare ed alla grande industria assistita, delle gravi iniquità presenti oggi nella società italiana.

Valga, come esempio, la situazione previdenziale dei lavoratori iscritti alla Gestione separata, vera gallina dalle uova d’oro dell’Inps, nella quale confluiscono i contributi di tutte le “nuove” forme lavorative (a partire dai giovani con contratto a progetto) e dei professionisti senza apposita cassa (quelli delle professioni non ordinistiche, che per il ministro Alfano continuano ad essere invisibili): milioni di persone che versano i loro contributi a fondo perduto, perché non avranno la possibilità di maturare una contribuzione tale da consentirgli di avere una pensione decente.

Al tempo stesso, il sindacato ripete che “le pensioni non si toccano”, ma non dice mai alla gente, a cominciare dalla “sua”, che in questo modo non ci saranno le risorse per fare la riforma universale degli ammortizzatori sociali, ma si resterà appesi a interventi “straordinari” e “in deroga”, all’insegna dell’emergenza permanente. Sulle pensioni, la posizione del sindacato è identica a quella del governo: si celebra la relazione del presidente (e commissario) dell’Inps Mastrapasqua, si dice che non bisogna toccare niente, ma ci si “dimentica” che l’Ente previdenziale è tutt’ora commissariato e che il bilancio dell’Inps ogni anno riceve trasferimenti diretti dallo Stato (ovvero dalla fiscalità generale) per 70 miliardi di euro. Per non parlare degli effetti della crisi sulla “gobba” pensionistica, problema che nessuno – tranne noi radicali – sembra intenzionato a sollevare.

L’alternativa è, più che mai, tra conservazione e Riforma, tra tenere il Paese in ostaggio di una crisi permanente, a tutto vantaggio di logiche corporative e di rendite di posizione, o provare a uscirne, secondo la linea tracciata dalle iniziative politico-parlamentari dei radicali su pensioni, lavoro, welfare.



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