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"Io, la mancata sposa del giovane Pannella"

• da Corriere della Sera del 13 maggio 2010

di Paolo Di Stefano

 

Il coming out di Marco Pannella, che in occasione dell’ottantesimo compleanno ha raccontato senza schermi la sua bisessualità, non poteva lasciare indifferenti le persone citate per nome e interessate ai fatti. «Era un condottiero già allora, bellissimo, alto, occhi splendenti e chiari, intensi, non allegri». È il ritratto del leader radicale da giovane, anni tra il ‘58 e il ‘59, quando la ragazzina Bianca Beccalli, allora liceale, si innamorò dei suo irresistibile fascino e del suo carisma da avventuriero della politica. Ora Bianca, nel salotto del suo appartamento milanese, rievoca con allegria quel tempo.
Fu un amore ricambiato, al punto che nel giro di due anni pensarono di sposarsi. A partecipazioni avviate, però, qualcosa andò storto. Ma qui le memorie divergono. Per Pannella, quella storia travolgente, rivissuta alla luce dei suoi ottant’anni, si sarebbe infranta contro l’eccessiva dipendenza di lei: «Era troppo innamorata, pendeva dalle mie labbra».
Passata attraverso il socialismo, l’operaismo e oggi sociologa impegnata sul fronte delle pari opportunità e del lavoro, Bianca non ha gli stessi ricordi: «La fascinazione per Marco fu breve, poi subentrò la stima per il suo coraggio bizzarro e per l’integrità morale, benché io non condividessi le’ sue posizioni di liberal-radicale.
Era un narciso con grandi soddisfazioni, e lo è ancora: dunque, non ha certo bisogno di dire che gli altri erano suoi succubi. Quella frase - "pendeva dalle mie labbra" - non gliela attribuirei, sono sicura che non l’ha detta. Era sempre circondato da persone che lo adoravano e che avevano con lui un rapporto reverente e incantato che io non avevo mai avuto.
Per carità, riconoscevo la sua autorevolezza, sapevo di essere impari e di non avere grandi possibilità di influenzarlo, ma ci provavo eccome». Quella di Bianca e Marco è una storia che dura un paio d’anni. Lei brillante (e ovviamente bellissima) studentessa liceale di buona famiglia borghese (il padre, Francesco, era pianista di fama), già attiva politicamente nei circoli del movimento studentesco che incrociava «goliardia, cultura e intelligenza», divisa tra gli ideali socialisti e la precoce passione per la filosofia; lui trentenne leader radicale, divorato dalle letture degli esistenzialisti francesi, figura epica tra generosità trasgressione e incoscienza, capace di catalizzare attorno a sé folle di giovani adepti. Tra questi, Bianca. Siamo infatti nella Pavia delle Politiche 1958, quando Pannella irrompe in provincia per la campagna elettorale. È lì che nasce la prima infatuazione, e poi l’amore. Nonostante le diverse posizioni politiche: da una parte il socialismo, dall’altra il liberalismo radicale. «Pavia - ricorda Bianca Beccalli era un ambiente da "piccole vacanze" alla Arbasino: la buona società di una città di provincia. Marco arrivò ed ebbe un effetto prorompente, non solo perché era alto più di chiunque altro: aveva un carisma maturato nel mondo della goliardia e dei suoi accoliti. Io ero una ragazzina che si occupava di politica, il che era strano in una città come Pavia. La mia era una casa ospitale, di genitori liberali, e invitavo i gruppi giovanili in casa mia. Con Marco fu un incontro travolgente, abbandonai subito i vari fidanzati che avevo e lui trionfò. Piccola com’ero - avevo 19 anni e la differenza con lui era schiacciante - lo aiutai a entrare nei giri universitari e a organizzare la campagna elettorale. Ma già a quell’età non pendevo dalle labbra di nessuno».
La ragazzina, da matricola, era già delegata nazionale dell’Ugi (l’Unione goliardica italiana, che raccoglieva studenti comunisti e socialisti). E da studentessa orientata verso la filosofia della scienza e il positivismo logico, attratta più dal socialismo organizzato che dal radicalismo, aveva già ben chiaro che l’indirizzo politico-culturale del «condottiero» Marco non poteva essere il suo.
Fatto sta che nel giro di pochi mesi, Pannella decide di trasferirsi in Belgio (dove voleva dedicarsi a «lavori umili», ricorda Bianca) e poi in Francia. La ragazzina parte con lui, che nel frattempo, assistito da Bianca, vive una crisi profonda esistenziale. A Parigi Pannella lavora per Il Giorno, al fianco di Saverio Tutino, mentre Bianca prosegue i suoi studi filosofici con Touraine: «In quella città già multiculturale, eravamo spesso insieme, fidanzatissimi, ma io facevo vita autonoma e ci incontravamo per pranzo, per cena e per qualche passeggiata. Pensammo al matrimonio, benché i miei, tradizionalisti, non fossero d’accordo che mi sposassi con quell’uomo così trasgressivo. Ma erano liberali e non potevano opporsi. I suoi genitori e sua sorella, invece, mi amavano molto. Io ero ingenua nei rapporti sentimentali e non capivo bene quel che succedeva. A pubblicazioni in corso, decidemmo di lasciar perdere».
Insomma, Bianca e Marco prendono decisamente due strade diverse. Ora Bianca ricorda certe frasi-slogan del suo vecchio fidanzato. Tipo: «Dopo i trent’anni un uomo è responsabile della sua faccia». E precisa: «Aveva un’etica del dovere anche nei rapporti sentimentali, ed era molto egocentrico, non proprio democratico, né con me né con gli altri».
Il ritorno in Italia, per la ragazzina un po’ cresciuta, significa la conclusione della tesi, su Durkheim, l’interesse per la sociologia, il fascino per la sinistra militante, l’operaismo. Nel ‘63 il matrimonio - questa volta sì - con l’altrettanto giovane Michele Salvati («siamo vicini alle nozze d’oro»), che già aveva conosciuto studente in giurisprudenza a Pavia. Poi il soggiorno nella Cambridge di Sraffa, dove Salvati consegue un’altra laurea, questa volta in economia e dove lei si indirizza ancora più decisamente verso la passione sociologica.
Senza dimenticare l’immersione totale (o quasi) nei Quaderni rossi degli «eretici» Raniero Panzieri e di Mario Tronti e poi nei Quaderni piacentini degli altri «eretici» Piergiorgio Bellocchio, Goffredo Fofi e Grazia Cherchi. Pannella era ormai lontano molte miglia, almeno sul piano affettivo e ideale. «Ormai eravamo mondi separati, poi ci saremmo incrociati con le lotte per i diritti civili.
L’ho rivisto, qualche volta: ma anche quando lo incontravo, nonostante i nostri trascorsi privati, mi appariva sempre come un uomo appassionatamente pubblico. Una volta, su un aereo per Bruxelles mi disse: "Avrei voluto essere l’uomo della tua vita, fai che sia l’uomo del tuo partito e prendi la tessera radicale"».


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