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Niente liste di proscrizione, per amor del Cielo. Niente massacro mediatico, per carità . I parlamentari del centrodestra fanno bene a chiedere rispetto e garantismo. Ma mentre noi li rispettiamo e li garantiamo, ecco, non sarebbe il caso che anch’essi rispettassero e garantissero un po’ anche noi? Gli italiani stanno assistendo attoniti al precipitare degli eventi, alle case regalate, alle ristrutturazioni mai pagate, ai palazzotti signorili comprati per un pugno di ceci. Riescono a digerire a fatica le spiegazioni che non spiegano, ministri che si trovano assegni circolari in omaggio nell’uovo di Pasqua, consulenze gentilmente offerte ad amici e parenti, muratori che compiono lavori da milioni di euro e poi non chiedono il pagamento della fattura. Strano, no? Alle persone normali non succede mai. Se arriva l’elettricista tocca versargli fino all’ultima lira, per non dire dell’idraulico che per sistemare un rubinetto come minimo ti costringe a dare in pegno i cari gioielli di mammà .
Si registrino tutte le smentite, per amor del cielo. Si dia spazio a tutte le difese, per carità . Ma sarà un po’ strano no, questo esercito di operai che girava per la capitale con gli strumenti di lavoro in mano: "Dottore, le rifacciamo il terrazzo?", "Ministro, le sistemiamo la casa?". Quale casa? "Quella che le hanno regalato senza che lei se ne accorgesse". Avanti, prego, accomodatevi: e il conto? "Non si preoccupi, dottore", "Lasci stare, ministro". E quelli zitti e tranquilli, convinti di essere i più furbi del mondo, pronti magari ad auto convincersi che quegli operai erano in realtà dei benefattori, dei samaritani travestiti da carpentieri, i santi protettori delle casa da rifare. O, magari, le fate turchine del ponteggio gratis.
Ci si guardi dall’escalation giudiziaria, per amor del cielo. Si eviti il tritacarne dei giornali, per carità . Ma gli italiani che non credono alle fate turchine del ponteggio, quelli che non hanno mai incontrato un carpentiere con vocazione da samaritano, ebbene faticano un po’ a digerire quest’andazzo assai romano per cui una mano lava l’altra, in fondo che male c’è?, se non ci si aiuta tra di noi... e comunque alla sera ci si vede tutti a cena: carbonara, scottadito, un po’ di vino dei castelli e alè: osteria numero otto, dell’elettore me ne fotto, finalmente ho il potere e gliela picchio nel sedere, da ghe da ber biondina, etc.
Con tutto il garantismo del caso, l’impressione di queste ore è che i Palazzi della Capitale tremino dal profondo, lungo una linea di demarcazione che non è tanto di schieramento politico, quanto di schieramento locale-territoriale.
Mi spiego: qui non va in crisi il centrodestra, non va in crisi il centrosinistra, anche se entrambi al momento non se la passano tanto bene (se c’è una cosa sicura, è che il centrosinistra non può dare lezioni di moralità , avendo portato tutte le sue giunte regionali al fallimento per scandalo, dalla Campania alla Puglia, dall’Abruzzo e alla Calabria). Quello che va in crisi è un sistema di potere romano, profondamente romano: il mondo dei salotti e dei corridoi, degli inciuci e degli intrallazzi, degli interessi e dei sottopoteri, dei cadreghinisti di professione, finti intellettuali di risulta, che non hanno mai avuto un
altro mestiere se non quello di arrangiarsi nei bassifondi della politica.
Non è un caso se, paradossalmente, mentre il Titanic balla pericolosamente con in tolda i Cicchitto che fanno i loro soliti proclami e gli Stracquadanio che addirittura propongono di pagare i politici ancora di più così magari lavorano (un genio, quest’uomo), non è un caso se, mentre il disorientamento cresce e il mal di pancia pure, la figura di Berlusconi emerge forte e nitida come non mai. Magari più sola, ma lucida in mezzo al marasma. E i suoi consensi in effetti crescono. Forse perché lui di quel sistema politico di mezzucci e retropensieri, trattative sottobanco e proposte indecenti, non ha mai fatto parte. Forse perché lui, in fondo, è sempre riuscito a essere a Roma senza essere di Roma, forse perché gli è rimasta quella visione brianzola, quell’aria che si respira fra Vimercate e Usmate Velate, quella lontananza dall’abbacchio che spesso aiuta, se non altro, ad evitare adipe e voltastomaco.
E non è nemmeno un caso se i più vicini accanto a Berlusconi sono rimasti Bossi e Tremonti, altri due leader padani, cresciuti fra i capannoni del Nord e mai davvero inghiottiti nelle paludi della Capitale. «Finché ci saremo io e Giulio il governo non lo buttano giù», ha garantito l’Umberto. Si capisce. Anche perché ora chi avrebbe interesse ad andare a votare? La sinistra no, Bersani è anche lui avviluppato da una rete che lo strozza, liti e contrasti, dentro un partito imbevuto di veleni, annichilito dalle divisioni. Ma può Berlusconi fondare la prossima stagione del suo governo solo sulla debolezza altrui? No, non è da lui, non fa parte della sua storia, del suo Dna. Per questo si guarda attorno, osserva le debolezze dei suoi, e si sente un po’ preoccupato. Non è mai stato così forte, e non è mai stato così solo. Niente liste di proscrizione, per amor del cielo. Niente massacro mediatico, per carità . Ma ora che altro gli avranno combinato?