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Ora serve una mossa del Premier

• da La stampa del 14 maggio 2010

di Marcello Sorgi

 

La lista, o le liste, dei come chiamarli? -, beneficiati da Anemone, il costruttore al centro dello scandalo dei grandi appalti, somiglia drammaticamente ad altri simili elenchi - quelli della P2 o dei famosi 500 esportatori di capitali, dei collaboratori dei servizi stranieri e di quelli italiani deviati da cui è periodicamente scandita la vita pubblica in Italia. Con un obiettivo, stavolta, molto più chiaro dei precedenti: colpire l’unico nome - Silvio Berlusconi - che fino a questo momento non compare sul registro dell’imprenditore romano, che, insieme al gran dispensatore di appalti Angelo Balducci, aveva
messo su la «cricca» e il sistema oggi sotto inchiesta.
Nel giro di pochi mesi era riuscito a inguaiare un uomo chiave di Palazzo Chigi come il capo della
Protezione civile Bertolaso, uno dei tre coordinatori del partito del presidente come Verdini, e due ministri come Scajola e Matteoli, che potrebbero non essere i soli, vuol dire che la stessa «cricca», o si sentiva intoccabile, o puntava più in alto. E da questo punto di vista la lista di Anemone sembra fatta apposta per dipingere un insieme di corruzione più vasto e articolato di ogni previsione.
Nella rete dei «criccaioli» infatti - al di là di responsabilità da provare e al di fuori, purtroppo, delle garanzie personali che spettano a ogni cittadino - non manca nessuno: c’è il politico e il professionista, il giudice e il prete, il giornalista e il regista, oltre ai funzionari delle diverse amministrazioni che facevano girare la macchina, uniti da annotazioni generiche, indirizzi di case da ristrutturare o comperare, lavori edilizi effettuati e chissà mai se pagati.
Ma non solo: quel che emerge - o più precisamente, quel che si vorrebbe far emergere - è qualcosa che sta sospeso tra l’immaginario e la realtà. L’idea, insomma, che la piccola e la grande corruzione, la mano che lava l’altra mano mentre la stringe, il sorriso complice, il circolo degli amici da favorire sempre, in omaggio a un giuramento paramafioso, siano ormai la regola generale del Paese - e soprattutto di quel mezzo Paese che ha Roma per capitale. In questo senso, il cerchio che si stringe attorno a Palazzo Chigi e poi s’allarga via via, fino a comprendere tutte le categorie più rappresentative di una certa immagine della romanità, diventa lo strumento più adatto a colpire il premier, destinato ad apparire come il capo supremo del governo della corruzione.
Che poi a una lettura più attenta delle carte si capisca benissimo come andavano veramente le cose, poco importa. Eppure è chiaro - oggi lo si può affermare con sufficiente convinzione - che se i metodi sono gli stessi di Tangentopoli, se le tangenti venivano chieste e pagate in contanti o in natura, e le percentuali erano perfino più esose, in questa storia tuttavia c’è una differenza che balza subito agli occhi. Salvo casi sporadici, a incassare, invece dei partiti e di molti dei loro esponenti come ai vecchi tempi, erano adesso dirigenti statali e altissimi funzionari che lucravano solo nel proprio interesse. Tra qualche anno magari si scoprirà che la caduta della Prima Repubblica era avvenuta solo per quel che riguardava la classe politica, mentre un gran pezzo di pubblica amministrazione - beninteso la parte corrotta della burocrazia - aveva potuto continuare tranquillamente a corrompere e a rubare senza alcuna soluzione di continuità. Gli stessi nomi di grand commis di scandali datati Anni Ottanta-Novanta, non a caso ricompaiono in questi giorni.
Ma in un caso o nell’altro, quale che sia la versione che passerà, il danno per Berlusconi è già fatto. E’ uno strano destino che l’uomo del Nord, l’imprenditore brianzolo che più di tutti e meglio di tutti ha rappresentato la cosiddetta (e incompiuta) rivoluzione italiana, sia avviato mestamente - a meno di colpi di coda - a una sorta di trasfigurazione: da personaggio simbolo della Seconda Repubblica, da capo del «governo del fare», a incarnazione vivente della nuova «Roma ladrona», che rischia di seppellire nuovamente, con se stessa, un ventennio quasi di aspirazioni e speranze di cambiamento tradite, e di aprire la strada a un rigurgito di estremismo nordista.
Questo spiega perché il Cavaliere, forse per la prima volta, non se la stia prendendo con la magistratura. E perché, in privato, sfogandosi con i suoi collaboratori, prometta di voler fare rapidamente piazza pulita.
Quel che invece non si comprende è cosa aspetti, perché indugi, perché ormai da settimane sembri come paralizzato, mentre intorno a lui alleati e avversari, amici ed ex amici, e naturalmente uomini del suo
governo e del suo partito, mettono in scena la danza della morte. Berlusconi, almeno questo, dovrebbe averlo capito: se non muove qualcosa, se non fa cadere qualche testa, ogni giorno che passa per lui sarà peggio.


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