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«Umberto parlava alla sua gente, non mi attendevo nulla di diverso, proverò poi io a farlo ragionare», minimizza il premier Silvio Berlusconi dal buen retiro dì Arcore quando apprende dello stop di Bossi al suo progetto di aprire a Casini. Il Cavaliere conta di condurre l’alleato leghista a più miti consigli quando lo vedrà , faccia a faccia, forse già nelle prossime ore. Il ragionamento che il presidente del Consiglio ripete ai suoi perora è lineare.
«Il governo è autosufficiente, ma siamo chiamati ad affrontare difficoltà impreviste a causa della crisi internazionale, se si creano le condizioni per garantire maggiore coesione e si determina un atteggiamento responsabile da parte di Pier Ferdinando, allora non intravedo ostacoli». Certo, dal suo punto di vista, l’ipotesi ottimale sarebbe davvero l’ingresso a pieno titolo dell’Udc nella maggioranza, anche per depotenziare l’incidenza di Gianfranco Fini e dei suo drappello di parlamentari. E in questa chiave sarebbe pure disposto a rivedere gli assetti dell’esecutivo, perfino con un mini rimpasto (la poltrona dello Sviluppo economico lasciata da Scajola resta ancora vacante).
Ma nelle ultime 48 ore, Berlusconi sta prendendo in considerazione anche l’ipotesi B, quella di una «collaborazione esterna» dei centristi sui provvedimenti strategici e più delicati che lo attendono, dalla manovra da 25 miliardi alla riforma della giustizia. E in questa chiave, nella settimana appena trascorsa, si è registrato tutto un lavorio sotto traccia a Montecitorio. Per sondare le reali intenzioni di Casini si è mosso il solito ambasciatore Gianni Letta, ma anche il capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto. Il leader Udc si è intrattenuto col ministro Tremonti per ragionare a quattr’occhi delle ricadute italiane della crisi finanziaria greca e internazionale. Il Guardasigilli Alfano è salito personalmente nello studio di Casini alla Camera per anticipare i prossimi passi sulla giustizia. Perfino il neogovernatore leghista in Piemonte Cota, martedì scorso, si è appartato cinque minuti negli studi di Ballarò con il capo dei centristi.
Saputo dell’uscita di Bossi, ieri sera Casini sbottava: «Ma di che sta parlando? Non ha ancora capito che la cosa non esiste, che non ci comprano con le poltrone, che non ci interessa entrare nel governo?». Il leader centrista resta convinto che l’"esecutivo di salute pubblica" prospettato una settimana fa sarebbe la soluzione migliore. Verificatane l’impraticabilità , non esclude comunque un’eventuale «assunzione di responsabilità », molto limitata (nel tempo) e condizionata (ad alcune misure indispensabili). In via Due Macelli si fa sempre più largo, insomma, l’idea di offrire una minima sponda al governo.
Quanto meno sulla manovra in arrivo, se risponderà a determinati requisiti, ma anche sulla riforma della giustizia. E in questa direzione, in seno all’Udc, spingono alcuni dirigenti, da Cesa a Buttiglione. Torneranno a parlarne da giovedì a sabato a Todi, quando il partito farà il punto e lancerà quella sorta di "Partito nazionale" che dovrebbe archiviare l’Udc e abbracciare in prospettiva Rutelli e i suoi, magari Luca Cordero di Montezemolo e chi altri vorrà starci.
Gli equilibri futuri e la crisi finanziaria non sono state tuttavia in testa alle preoccupazioni del premier Berlusconi nel week end trascorso ad Arcore. Il susseguirsi di indiscrezioni sugli imminenti sviluppi giudiziari che potrebbero coinvolgere ancora ministri, coordinatori, deputati a lui assai vicini lo tengono sulla graticola.
«È attento, inattesa» racconta chi gli ha parlato. Una strate già sul da farsi, qualora la situazione precipitasse, ancora non l’ha elaborata. Di certo, gli provocano reazioni da orticaria uscite come quella di ieri di Dario Franceschini in tv su governi "di emergenza" col Pd dentro e Berlusconi fuori. Basta sentire le reazioni dei fedelissimi, da Bondi a Napoli a Rotondi, per cogliere gli umori del Cavaliere. «Il governo tiene ed è l’unico che può affrontare le difficoltà del momento, quella di Franceschini è una banale provocazione» taglia corto Quagliariello. Anche se, va detto, la sortita del capogruppo Pd è stata lasciata cadere in un freddo silenzio anche dai dirigenti del suo partito. Resta il fatto che peri il governo la questione morale - e la percezione che ne ha l’elettorato - costituisce la vera emergenza. Il ministro Rotondi, per esempio, è rimasto colpito dall’omelia domenicale con cui il sacerdote ieri ammoniva: «Costruite la vostra casa nei cieli, non accumulatene a Roma magari comprate con metodi discutibili». Oggi poi le procure riaprono i battenti e a Palazzo Chigi non resterà che attendere le novità .