Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
mer 02 lug. 2025
  cerca in archivio   RASSEGNA STAMPA
Politici e manager, il fortino che resiste

• da Il Messaggero del 17 maggio 2010

di Luca Cifoni

 

Cominciamo dai ministri, dai parlamentari, dai superdirigenti pubblici. Quando c’è un governo che deve chiedere sacrifici ai propri cittadini, in nome dell’Europa o della crisi, comunque di una causa esterna alla quale non ci si può sottrarre, è questa la vox populi che si alza, comprensibilmente.
Tanto comprensibilmente che negli ultimi anni è stata spesso la politica a giocare d’anticipo, facendo
propria - almeno a parole l’esigenza di equità diffusa nel Paese.
Con risultati però che a essere buoni si possono definire poco incisivi. E’ vero che questo tipo di interventi
normalmente non servono a risollevare le sorti del bilancio pubblico: perché le retribuzioni in questione saranno pure alte, ma riguardano un numero non troppo grande di persone, per cui una decurtazione anche sensibile può portare al massimo qualche milioncino di risparmio. E dunque la valenza è soprattutto simbolica, si tratta insomma di dare il buon esempio.
Ma almeno il buon esempio si potrebbe dare fino in fondo. Invece il percorso standard seguito da queste campagne di moralizzazione è stato più o meno sempre lo stesso: prima l’annuncio, poi la correzione, l’aggiustamento, la mezza retromarcia.
Per finire con un’applicazione nel migliore dei casi parziale, se non del tutto teorica. Ad esempio, di ridurre gli stipendi dei politici si parlò già nell’autunno 2006, quando il governo Prodi si trovò a dover impostare una manovra correttiva di oltre 30 miliardi. E, ad onor del vero, la misura fu effettivamente adottata almeno per ministri e sottosegretari, in una misura (il 30 per cento) ben più drastica di quella di cui si discute oggi. C’era però una piccola clausola: il taglio riguardava i componenti del governo che fossero anche membri del Parlamento. E più precisamente, andava ad incidere solo su una parte. dei loro compensi complessivi, appunto quella legata alla presenza nel governo e aggiuntiva rispetto all’indennità parlamentare.
Comunque, almeno quel taglio fu fatto, anche se nell’esecutivo di centro sinistra colpì in realtà meno di un terzo dei componenti visto che gli altri non erano parlamentari. Ma emblematica è la vicenda che, avviata dalla successiva (e ultima) Finanziaria del governo Prodi, si è trascinata fino allo scorso autunno con esiti abbastanza paradossali.
Si trattava di stabilire un tetto alla retribuzione dei supermanager; gli altissimi dirigenti dei ministeri e delle altre amministrazioni.
Il tetto fu fissato al livello dello stipendio del primo presidente della Corte di Cassazione, circa 273.000 euro, non proprio una soglia di povertà.. Si decise però di prevedere 25 deroghe per funzionari particolarmente strategici.
Al cambio di governo, nel giugno del 2008, l’applicazione della misura fu sospesa in attesa di un apposito decreto attuativo. Trascorso quasi un anno e mezzo, nel quale i ministri cercarono di accaparrarsi
ulteriori deroghe per i propri uomini, il decreto arrivò finalmente nell’ottobre scorso; a quel punto però si scoprì che non riguardava gli stipendi in quanto tali, ma le indennità aggiuntive. In poche parole: i super-manager pubblici possono percepire la propria retribuzione e, accanto a quella, non più di 290.000 euro di ulteriori compensi (a tanto è stata rivalutata la cifra iniziale). A conti fatti, un tetto che non fa più paura a nessuno o quasi.
Più recentemente, i panni del moralizzatore li ha indossati il ministro Calderoli. Che prima ancora di proporre pochi giorni fa il taglio del 5 per cento delle indennità parlamentari, con la scorsa Finanziaria
aveva messo le risani su una materia delicata e importante, quella delle poltrone negli enti locali.
Sotto la scure erano caduti assessori, consiglieri, assemblee circoscrizionali. Poi però, a seguito della protesta degli interessati, il pacchetto è stato un po’ammorbidito e rinviato al 2011, salvo la parte che riguarda gli assessori. Il partito di Calderoli invece è stato il più fiero oppositore di un’altra misura a lungo invocata in nome della riduzione dei costi della politica, l’abolizione delle Province.
Il Carroccio ha trovato su questo f ronte un alleato nel ministro dell’Economia: visto che i dipendenti comunque non possono essere aboliti, ha spiegato Tremonti, il risparmio sarebbe di soli 200 milioni di euro. Per così poco, non vale la pena di disturbarsi.


IN PRIMO PIANO







  stampa questa pagina invia questa pagina per mail