Pier Ferdinando Casini, dopo avere incassato il sì di Dario Franceschini al governo di unità nazionale,
gioca la seconda carta e chiede al Pd il sindaco di Bologna, la «sua» città . Un ragionamento che non fa una piega: «cari pidiessini», dice Casini, «da soli rischiate il tracollo nella vostra .roccaforte dopo i clamorosi errori che avete commesso candidando Sergio Cofferati e Flavio Delbono.
Invece insieme vinciamo al primo turno e in più facciamo di Bologna la città -laboratorio di un’alleanza tra il futuro partito che nascerà sulle ceneri dell’Udc e il Pd. In campo nazionale io mi sono già mosso e se la crisi si fa dura un nostro accordo può fare cadere Berlusconi. Tutto questo ha un prezzo: il sindaco di Bologna ce lo prendiamo noi e a voi andrà la maggioranza del consiglio comunale».
Per addolcire la pillola Casini ha pronto due nomi non di partito: il ritorno di Giorgio Guazzaloca, l’uomo civico che già espugnò la città a capo di una sua lista e da sempre legato a Pier Ferdinando, oppure la cognata i di Casini, Silvia Noè, che è stata a lungo presidente dell’Api (piccoli imprenditori), è a capo di un’azienda d’abbigliamento, cattolica praticante, si è sempre distinta per posizioni bipartisan, è stata eletta con grande seguito in consiglio regionale nella lista Udc.
D’altra parte un Pd di lungo corso come Duccio Campagnoli, ex-segretario Cgil, ex-assessore regionale, ha risposto che Guazzaloca potrebbe essere l’uomo giusto, e per fare capire che dice sul serio è passato dal ruolo di possibile candidato sindaco a quello di aspirante presidente del Polo tecnologico di Bologna.
Il fatto è che il Pd sta brancolando nel buio e Guazzaloca o Silvia Noè potrebbero diventare la «Bonino di Bologna», cioè il candidato esterno in grado di togliere le castagne dal fuoco al partito, come è avvenuto nel Lazio.
Infatti l’unico leader forte, Romano Prodi, "reo" però di avere sponsorizzato Delbono, non ne vuole sapere di rinchiudersi a occuparsi di parcheggi e urbanizzazioni. Così il Pd non sa a che santo votarsi, qualcuno della segreteria sta pensando perfino al presidente del museo d’arte moderna, Lorenzo Sassoli de’ Bianchi, discendente di una dinastia di marchesi con a capo l’anziano Filippo, che trasformò decenni fa una delle sue tenute in un campo da golf 18 buche per potersi allenare.
Il clima nel Pd bolognese è così sintetizzato da Raffaele Donini, neo-segretario designato alla guida del partito (l’ex è stato eletto in consiglio regionale): «Tra noi serve il più poderoso disarmo dai tempi di Reagan e Gorbaciov».
Quindi il terreno sembra favorevole allo scavo che ha incominciato a fare la talpa Casini. Anche perché
non poca confusione regna pure nel campo avverso. L’ex-direttore del Resto del Carlino, Giancarlo Mazzuca, di cui Anna Maria Bernini, ex-An, fece un sol boccone quando si trattò di decidere il candidato da opporre a Vasco Errani per la Regione, vorrebbe ora la rivincita e candidarsi a sindaco ma nel Popolo delle libertà molti storcono il naso perché invocano un nome altisonante in grado di fare vedere i sorci verdi a un eventuale concorrente pidiessino di seconda fila.
A ingarbugliare ancora di più la matassa ci sta pensando la Leganord: il segretario regionale Angelo Alessandri, forte del 13,6 % conquistato in una regione difficile come l’Emilia, ha convinto Umberto Bossi a chiedere un leghista come sfidante: «Solo noi possiamo prendere i voti dei delusi del Pd». Al che il deputato emiliano ex-An, Enzo Raisi, ribatte: «La Lega è troppo ingorda». Ma Raisi ha la colpa di essersi schierato con Fini, così nella lotta fratricida tra gli ex-An, il collega del fu partito, Galeazzo Bignami, prende carta e penna: «Caro Raisi, non rappresenti più a Bologna il Popolo delle libertà ».
Intanto nella pace della basilica, a latere di una celebrazione, si fa sentire anche il vescovo ausiliare di Bologna, Ernesto Vecchi: «Viva il commissario, così abbiamo tempo di riflettere».