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Autisti promossi da politici. Ora si pensa ad un loro albo

• da Corriere della Sera del 18 maggio 2010

di GIAN ANTONIO STELLA

 

Per riconquistare l’adorazione entusiasta della gente, un tantino irritata coi politici coinvolti nell’ultima catena di scandali, l’onorevolissima Paola Pelino ha avuto un’idea: una proposta di legge per istituire un nuovo Albo. L’Albo Professionale degli Autisti di Rappresentanza. Vale a dire i devoti guidatori delle autoblù. Il clima, certo, non è favorevolissimo.
Basti ricordare come negli ultimi giorni il tema sia finito sui giornali, in modo non lusinghiero e seguito anzi da un acquazzone di ironie in Internet, un paio di volte. La prima quando il berlusconiano Cosimo Gallo ha cercato di inserire nel nuovo codice della strada un emendamento per dare agli autisti delle autoblù il doppio dei punti sulla patente, emendamento passato in un primo tempo col voto contrario dei senatori del Pd e dell’Idv, ma poi bocciato proprio a causa di tutte le proteste.
La seconda quando un altro pidiellino, Giuseppe Consolo, martedì scorso, si è lanciato in una torrenziale requisitoria contro i vigili urbani di Roma, colpevoli di appioppare troppe multe all’autista che lo accompagna nel cuore della capitale: «Non veniamo a Montecitorio per bighellonare». L’autista, in questo caso, era suo personale: «Pagato da me». In ogni caso, apriti cielo!
Deputati e senatori sono spesso generosi, tradizionalmente, verso i loro sottoposti al volante. Anzi, se nella storia il solo cavallo di Caligola ebbe la fortuna di diventare senatore, gli autisti benedetti dalla benevolenza e dalla generosità del Capo di turno sono stati diversi. Qualcuno è stato compensato per la fedeltà in moneta sonante, come Franco Borghetto, che guidava la macchina di Carlo Bernini, presidente della Regione Veneto prima di diventare ministro dei Trasporti e si vide riconoscere, in un solo mese di febbraio, la bellezza di 382 ore di straordinario che in aggiunta alle 144 contrattuali facevano 19 ore al giorno, sabati e domeniche compresi. Altri sono finiti nelle foto ricordo tra le più alte autorità dello Stato, come il mitico Graziano, l’autista che Umberto Bossi mandò beffardamente anni fa, come proprio rappresentante, sul palco della festa della Repubblica. Altri ancora sono «sbocciati» alla politica.
Il più divertente si chiamava Pino Babbini. Era un omone grande e grosso, prima di innamorarsi della Lega e del suo leader aveva fatto il tassista e giurava: «Non sono "l’autista di Bossi". Gli guido la macchina perché è lui. Sennò, col piffero. Io faccio politica. Faccio il consigliere di Bossi». Piergianni Prosperini lo accusava di essere «solo uno schiavo numida». Per gli altri, era «una cocorita di una tonnellata», sempre pronto a ripetere come un pappagallo le battute del suo signore e padrone.
Il Capo diceva: «Le donne mi piacciono mostose». E lui: «Le donne mi piacciono mostose». Il Capo spiegava: «Il Nord ha un solo problema: i terroni». E lui: Al Nord ha un solo problema: i terroni». E via così, finché aveva rotto col Capo e con la Lega (nelle cui file era stato perfino eletto consigliere comunale a Milano) al punto di fare causa.
Certo, molti hanno pagato carissima la loro fedeltà. Si pensi a tutti quegli autisti morti negli agguati a magistrati, politici, ufficiali. Come Domenico Ricci, ucciso con tutti gli uomini della scorta al fianco di Aldo Moro in via Fani. Molti, legati al «loro» leader da un rapporto di affetto tra il protettivo e il filiale, l’hanno seguito fino in fondo anche negli anni della caduta e dell’esilio come Nicola, che sarebbe perfino riduttivo ricordare come l’«autista» di Bettino Craxi. E certo sarebbe ingiusto non ricordare come moltissimi facciano il loro dovere fino in fondo senza ricavarne altra soddisfazione che ore e ore al volante, uno stipendio appena decente, notti in bianco, un panino e una coca cola trangugiati in fretta in un autogrill.
Ma certo, sono in tanti anche aver dato la scalata. I più famosi, stando al verbale firmato il 22 dicembre 2008 da Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco di Palermo protagonista del sacco della città, sono saliti assai: «Nel 2001 avevo incontrato l’onorevole Cuffaro a una festa elettorale.... Poi mio padre mi ha ricordato che faceva l’autista all’ex ministro Calogero Mannino quando pure io accompagnavo mio padre alle riunioni. Poi ho ricollegato: quando accompagnavo mio padre dall’onorevole Salvo Lima spesso rimanevamo io fuori dalla macchina e c’era Renato Schifani che guidava la macchina a La Loggia (Giuseppe, presidente della Regione Sicilia e deputato dc, ndr). Io rimanevo con mio padre e Cuffaro guidava la macchina a Mannino. Diciamo i tre autisti erano questi. Oggi ovviamente gli altri due hanno fatto ben altre carriere, io no. Andavamo a prendere cose al bar».
Si fa presto a dire autista... Non ce n’è uno che a distanza di anni non rivendichi le stesse cose del Babbini: guidavano non come autisti, ma come collaboratori e amici. Lo dice il ministro Elio Vito, che nella gioventù radicale scarrozzava Marco Pannella. Lo dice l’onorevole Francesco Proietti Cosimi, uno degli uomini più vicini a Gianfranco Fini, finito sui giornali per una contorta vicenda giudiziaria che aveva a che fare con una clinica privata. Lo dice Pippo Fallica, che cominciò al volante dell’auto di Gianfranco Miccichè e da anni è uno degli uomini più potenti della destra siciliana. Lo dice Armando Cascio, che si è occupato a lungo degli spostamenti del presidente della provincia di Napoli Luigi Cesaro fino a diventare un paio di mesi fa assessore al bilancio. Lo dice il senatore Claudio Fazzone, coinvolto nelle polemiche sulle «interferenze» mafiose al comune di Fondi, che si ricorda come «assistente» di Nicola Mancino.
Altri, al contrario, come un tempo Vittorio Sbardella, che aveva esordito al fianco del sindaco di Roma
Amerigo Petrucci, si vantano di quella stagione. Come Francesco Storace, che esordì in politica come autista del ras del Msi laziale Michele Marchio: «Gli devo tutto, il posto al Secolo d’Italia, la prima elezione come consigliere circoscrizionale. Gli facevo pure da autista e non me ne vergogno».
Insomma, il panorama ha mille facce. Ma ha senso, in un paese come il nostro al quale la stessa Europa rinfaccia di avere troppi orticelli, istituire un nuovo albo come propone la berlusconiana Paola Pelino, fino a ieri nota solo per i confetti (squisiti) prodotti in famiglia e per la vaporosa pettinatura alla Flamingo Road? Che senso c’è a stabilire in una leggina che il profilo professionale dell’autista di autoblù consiste
«nella conduzione di mezzi di rappresentanza delle amministrazioni dello Stato, nella manutenzione dell’efficienza e della sicurezza dei veicoli e nella collaborazione con l’organo istituzionale e il suo staff», pretendere che sappia una lingua straniera e abbia un «diploma di istruzione secondaria di secondo grado»?
Mica devono diventare tutti ministri...


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