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Bomba sulla strada di Herat salta il Lince, morti due italiani

• da Corriere della Sera del 18 maggio 2010

di Lorenzo Salvia

 

Erano partiti la sera prima dalla base di Herat. Ormai si trovavano a 25 chilometri da Bala Murghab, lì dove la strada entra in una gola e diventa stretta, pericolosa. Dietro una curva era nascosta una led, improvised explosion devices, come vengono chiamate le bombe artigianali ma potentissime preparate dai talebani.
L’esplosione ha fatto saltare in aria il quarto mezzo della colonna, un «Lince» della brigata Taurinense. Luigi Pascazio - 25 anni, originario della Puglia - e Massimiliano Ramadù - 33 anni, nato vicino a Roma - portano a 24 il numero dei militari italiani morti nella missione in Afghanistan. Nell’attentato sono rimasti feriti in modo serio altri due soldati, Gianfranco Scirè e Cristina Buonacucina, la prima donna soldato colpita in modo grave durante una missione all’estero dopo che nel 2006, sempre in Afghanistan, rimase coinvolta in modo lieve un’altra ragazza, Pamela Rendina.
La colonna era composta da 130 mezzi e 400 uomini, non solo italiani ma anche americani, spagnoli e afghani. Più volte i servizi avevano segnalato come «altamente probabile» un aumento degli attacchi con
questo tipo di ordigni. Anche perché le strade sono poche e gli spostamenti dei militari diventano prevedibili. Secondo la ricostruzione dello stato maggiore della Difesa, la bomba non aveva un obiettivo preciso ma voleva «colpire nel mucchio». Come dice il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, «l’attentato non era diretto a un mezzo italiano ma era uno dei tanti che in Afghanistan vengono compiuti nei confronti di mezzi che lavorano per i trasferimenti operativi».
Inevitabilmente, però, riparte ancora una, volta la discussione sulla sicurezza dei soldati italiani e sull’intera missione in Afghanistan. Il deputato radicale Maurizio Turco rinuncia al minuto di silenzio alla Camera. E punta il dito contro il mezzo utilizzato dai militari italiani, «insicuro perché si ribaltava già in Italia durante le esercitazioni». Già in passato il «Lince», una grossa jeep blindata, era stato criticato perché non abbastanza sicuro per una missione come quella afghana. Negli ultimi mesi si è provveduto a rinforzare la blindatura della torretta dove si trova la mitragliatrice. Ma la vera soluzione sembra essere l’arrivo dei nuovi Freccia, un po’ più lenti ma con una blindatura molto più pesante. La consegna dei mezzi, dice La Russa, dovrebbe essere questione di giorni. Il lutto unisce destra e sinistra, con il cordoglio del capo dello Stato Giorgio Napolitano. Ma resta la questione politica: la missione deve andare avanti fino alla scadenza prevista nel 2013 oppure no? II primo a manifestare qualche dubbio, e non è la prima volta, è il leghista Roberto Calderoli: «Bisogna verificare se questi sacrifici servono o meno a qualcosa».
Ma subito arriva la frenata del presidente del consiglio Silvio Berlusconi che parla di missione «di fondamentale importanza per la stabilità e la pace di un’area strategica». Seguita da quella del leader del Carroccio Umberto Bossi: «Non penso che possiamo scappare, la nostra sarebbe sentita dal mondo occidentale come una fuga difficilmente spiegabile». Prudente il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani: «Dobbiamo riflettere sull’evoluzione della missione, così come sta facendo il presidente Obama». Parla apertamente di ritiro, invece, Antonio Di Pietro: «Occorre che al più presto il Parlamento affronti seriamente la questione della rischiosa presenza dei nostri militari, coinvolti non in una missione ma in una guerra, e proponga una exit strategy».


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