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«Sono uno che ha ucciso, io ho tolto la vita a una donna e sto già in galera. Questo sì. Ma con gli altri omicidi non c’entro. Il serial killer, come lo chiamate voi, quello vero, io so chi è. Ho dato nome e cognome al mio avvocato. Lo devono cercare, perché è stato lui». Angelo Stazzi, detenuto perché sospettato di omicidio, parla tranquillo dalla cella che divide da ottobre scorso con altre cinque persone a Regina Coeli.
Davanti a lui c’è la parlamentare radicale Rita Bernardini, il neoeletto consigliere regionale del Lazio della Lista Bonino-Pannella Rocco Berardo e un delegato dell’ufficio del Garante dei Detenuti della Regione. L tranquillo, anzi vuole «essere utile alla giustizia», dice.
«Ho visto in televisione i posti dove ho lavorato, mi sono sentito male - continua Stazzi - altri tempi quelli. Facevo politica allora, sapete? Al mio paese, Montelibretti. Prima ero in una lista civica, poi assessore con Forza Italia. Sono anni che ricordo bene e anche le persone. È stato vedendo quei posti che ho ricostruito tutto, e ho capito chi ha fatto quello che ora buttano addosso a me». Il delegato del Garante lo interrompe e gli chiede come sta, tutti sanno che sta 20 ore al giorno in cella, quattro ore d’aria che spesso non sfrutta perché si sente male. «Ho un problema al cuore - racconta Stazzi mentre Simona Mellozzi, dirigente del carcere annuisce, conosce già i suoi problemi - e una massa a un rene che mi preoccupa molto. Devo capire se è un tumore. Sono preoccupato per questo, l’avviso di garanzia del tribunale di Tivoli invece non mi interessa. Tanto quelle persone io non le ho toccate nemmeno con un dito».
E quando Rita Bernardini, che ha girato in molti reparti di Regina Coeli per valutare le condizioni di 1.060 detenuti stipati in aree per 750 persone, gli chiede dei suoi rapporti con la famiglia a Stazzi scappa persino un sorriso. «Vedo sempre le mie due figlie, mio fratello, la donna che amo, un amico caro. Mi piacerebbe essere trasferito a Rebibbia però, perché tanto in carcere ci devo rimanere e li si sta meglio, non ci sono quelle finestre (le "gelosie", che oscurano la luce, ndr). E mentre sto qui vorrei lavorare in biblioteca perché non ce la faccio a stare senza far niente». Poi sembra ripensare a quello che ha detto
prima e rincara: «In tivù ho visto una clinica, hanno detto che ho lavorato lì ma non è vero. Ma so chi ci ha lavorato e ho tratto le mie conclusioni. Storia tosta, lo capirete chi è il colpevole».