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C’era da aspettarselo: sensibile alle offese come un moschettiere del re nei romanzi d’Alessandro Dumas, Massimo D’Alema non l’ha presa bene. Carlo De Benedetti, sobillato dalle domande di Paolo Guzzanti nel libro-intervista Guzzanti vs De Benedetti, in libreria dal 27 del mese, aveva detto che mentre Silvio Berlusconi, con tutti i suoi difetti, «qualcosa ha fatto», D’Alema invece non ha mai combinato niente. Altezza reale del postcomunismo, presidente del consiglio a tradimento nel 1998, ministro degli esteri da dimenticare e già dimenticato, D’Alema ha risposto a De Benedetti dandogli del «berluschino di serie B» (cioè con una spiritosaggine da oratorio, nemmeno da vecchia sezione comunista o da comico engagé). In altri tempi l’avrebbe forse sfidato a duello dandogli appuntamento all’alba dietro il convento delle carmelitane scalze. De Benedetti, che è una persona seria e prudente, non si sarebbe presentato, ma D’Alema, come il tenente Feraud, il duellante invasato del racconto di Joseph Conrad, gli avrebbe dato appuntamento lo stesso. Bisogna capirlo, del resto. Maltrattare D’Alema è diventato ormai lo sport preferito di chi si occupa, anche occasionalmente, di politica. A D’Alema, che un tempo è stato potente, non si perdona più nulla, segno evidente che la sua stella si è spenta, tanto che sparlare di lui, dentro e fuori (ma soprattutto dentro) il Partito democratico, è da tempo ritenuta una cosa chic, da ben introdotti, da elegantoni.
Passava per maestro scacchista della sinistra, e oggi gli si ricorda che non ne ha mai azzeccata una e che, in decenni di carriera politica, non ha combinato un accidente. Berlusconi ha lasciato un’impronta; persino Umberto Bossi e Gianfranco Fini hanno contribuito a cambiare la faccia del paese; così come ha lasciato un’impronta anche Tonino Di Pietro (un’impronta larga e cattiva come un colpo di vanga picchiato sulla testa d’un ladro pescato sotto l’albero delle mele da un contadino manesco). D’Alema niente. Nessuno lo dice, ma molti sono dell’idea che persino Clemente Mastella, o ai suoi tempi Cicciolina deputata radicale, abbiano lasciato più tracce di lui nella storia nazionale. Un po’ come Pierferdinando Casini, politico molto professionale, però inutilizzabile e forse proprio inutile, Massimo D’Alema non ha presentato, a differenza del Cavaliere, un nuovo prodotto (e neppure vecchio) sul mercato politico. Entrato in scena, dopo la morte d’Enrico Berlinguer e l’ascesa degli occhettiani, quando l’utopia era una merce che non voleva più nessuno, ha tentato ripetutamente di spacciarsi per uno «statista» devoto al realismo e alla ragione. Ma nessuno ha mai seriamente creduto alla sua vocazione di sobrio, misurato statista, a parte i suoi fedelissimi, sempre più rari. Carattere fin troppo, principi pochi e vaghi, Massimo D’Alema è uno skipper, anzi un surfista prestato alla politica. Può abbracciare qualunque idea, qualunque opinione, e subito disfarsene, cercando sempre nuove occasioni, dimenandosi e sculettando in piedi sulla tavola, per restare sull’onda. Chi lo ha preso sul serio, in tempi passati, lo ha fatto per paura. Adesso che non mette più paura a nessuno, a nessuno viene in mente d’usarlo come spaventapasseri. Non è bello, però, che gli sia saltato alla gola anche Carlo De Benedetti, proprietario di Repubblica e del Gruppo editoriale L’espresso, finanziere italo-svizzero, già «tessera numero 1 del partito democratico, praticamente l’uomo che detta la linea al giornale che detta la linea al Pd. De Benedetti e D’Alema un tempo erano amici. È dunque giustificata la sfuriata dell’ex ministro degli esteri.
È stato umiliato da Nichi Vendola e oltraggiato, in diretta televisiva, dal vice di Vittorio Feltri al Giornale, Alessandro Sallusti, che in genere ha l’aria depressa e che, seviziando lui, aveva invece l’aria di spassarsela. Gli arrestano (è notizia di ieri) l’ex sindaco dalemiano di Gallipoli (sono in manette già altri «dalemini di serie B» dello zoccolo duro pugliese).
Infine la botta di De Benedetti. Ora basta. D’Alema non aspetti d’essere segnato a dito dal primo bambino che passa. Se lo dica da solo che D’Alema è nudo.