E’ stato salutato con grande soddisfazione il sì all’emendamento del contratto di servizio Rai che istituisce un osservatorio indipendente contro gli "stereotipi di genere" ossia contro uno stile comunicativo che tende a fornire un’immagine avvilente delle donne. L’emendamento era stato presentato alla Vigilanza da Emma Bonino insieme con diversi deputati tra cui Marco Beltrandi (RadicaliPd), Maria Ida Germontani (Pdl), Vittoria Franco (Pd) e Giovanna Melandri (Pd). Un piccolo passo, sicuramente non risolutivo ma comunque significativo, per far comprendere che la televisione deve aggiornare i suoi linguaggi e prestare attenzione al mondo femminile nella sua varietà e complessità .
Il tema non è nuovo, già agli inizi degli anni Novanta in uno studio sull’immaginario televisivo Milly Buonanno non aveva dato molte chance ai modelli femminili veicolati dalla pubblicità : le donne ne uscivano piuttosto mal ridotte e con poche alternative rispetto allo stereotipo della moderna matrona inserita in un nucleo familiare stile Mulino Bianco o a quello della bellona rampante e fintamente trasgressiva.
Si può concludere che oggi le cose non sono migliorate, anzi. I due modelli sopra citati resistono nella pubblicità e nelle fiction, anche quelle più amate, al punto che c’è chi (Maria Laura Rodotà ) fa notare che nella serie molto apprezzata dal pubblico dei Cesaroni le due protagoniste, Lucia (Elena Sofia Ricci) e Stefania (Elda Alvigni), pur essendo insegnanti non sono mai riprese mentre leggono un libro, ma principalmente mentre preparano la colazione per la nuova famiglia allargata o discutono dei loro mariti. Non solo, ma la tv commerciale ha imposto anche il genere "velina svampita" contro il quale è stato realizzato un documentario critico, Il corpo delle donne, di Lorella Zanardo che ha messo in luce attraverso una selezione ad hoc di immagini tratte da varie trasmissioni l’utilizzo manipolatorio del corpo delle donne. Il risultato? Telecamere che indugiano su glutei plastici e seni prorompenti. Con l’aggravante che le bellezze in mostra restano mute e silenti, al pari delle ragazze Coccodè scelte da Renzo Arbore (nella profetica trasmissione Indietro tutta) per ironizzare sulle donne-oggetto in tv. Sorrisi, balletti, sculattementi e stop. Temi non nuovi, dunque. Ma cosa li rende oggi così attuali? Da un lato il fatto che essi hanno trovato una cornice giustificativa da parte della politica, troppo appiattita sui gusti
del grande pubblico, dall’altro il fatto che esiste ormai un neofemminismo trasversale costretto a riflettere sull’inefficacia delle proposte politiche offerte al mondo femminile (quote rosa e affini). Non dimentichiamo infatti che è stato proprio Berlusconi a difendere le veline - in un’intervista a Lilli Gruber per il suo libro Streghe - sostenendo che si tratta di ragazze che hanno grinta e talento, presupposti di una considerevole autostima femminile che implica anche intelligenza e sacrifici per imporsi nel mondo dello spettacolo.
L’immagine ulteriore, di una politica femminile nel Pdl basata più sul casting che sulle capacità personali, con la conseguente polemica relativa alle veline in lista alle scorse elezioni europee, ha definito i contorni di una nuova questione femminile, che interessa la tv ma anche il costume generale, e non solo quello politico. Ne parlava ieri Gad Lerner su Repubblica, facendo riferimento a un libro di Michela Marzano (Sii bella e stai zitta, Mondadori) nel quale si denuncia il forte tasso di maschilismo ancora presente nel nostro Paese, dove non solo la parità resta traguardo lontano ma si assiste in più alla rivincita di tutti gli stereotipi più radicati sulle donne. Un fattore culturale che finisce con il ledere l’autonomia femminile e con il giustificare un’immagine della virilità associata con la violenza maschile. «Marzano - scrive Lerner - adopera più volte la parola "regressione"... Mettendosi direttamente ìn gioco applica la regola femminista del "partire da sé" e dalla sua famiglia. Forse idealizza gli anni Settanta in cui sua mamma riusciva a essere insieme insegnante emancipata e angelo del focolare, trasmettendo ai figli un progetto di uguaglianza a prescindere dalla diversità sessuale... Di lì a poco la tv commerciale, seguita a ruota dalla Rai, avrebbe moltiplicato su larga scala la cultura popolare retrograda dell’Italietta clericale e puttaniera.
E questo avveniva proprio negli stessi anni in cui le altre nazioni industrializzate accompagnavano alla scoperta della libertà sessuale quel codice di rispetto della femminilità tuttora sconosciuto al nostro establishment». Questi atteggiamenti culturali (l’incontrastato predominio dell’immagine femminile coniata dall’Italietta retrograda e puttaniera) stridono con la realtà delle donne di oggi, che si propongono sotto certi aspetti come il vero "sesso forte", facendosi carico nella loro quotidianità di un costante doppio lavoro, quello domestico e quello extradomestico, cui si aggiunge il lavoro di cura verso i familiari anziani o malati. Una dimensione da tutti conosciuta ma troppo spesso ignorata nelle discussioni generali sulle riforme del lavoro, in cui torna a fare capolino con insistenza l’idea di alzare a 65 anni l’età pensionabile delle lavoratrici. In più, le donne non lesinano robuste dosi di innovazione e creatività fertile in tutti i campi (dallo studio alla ricerca, dalle funzioni a in cui hanno la possibilità - conseguita con meriti propri e senza reti di protezione - di essere al comando. Da un lato dunque le donne elaborano in proprio una loro originale forma di resistenza e di sopravvivenza rispetto a una società che ne ignora i bisogni e le specificità , dall’altra guardano con distacco e rassegnazione al cristallizzarsi di fenomeni culturali che relegano la figura femminile ad un ruolo subordinato e anacronistico. In pratica le donne migliori, quelle "vere", non sembrano in grado di trasmettere un loro autonomo modello, un loro linguaggio, un loro stile comunicativo, di cui debba tener conto anche il mezzo televisivo. In pratica sono impegnatissime nella sfera individuale, in quella che un tempo si sarebbe chiamata realizzazione di sé, ma al contempo disimpegnate nella sfera pubblica, quella dove si forgiano gli "stili mentali" e dove sarebbe più necessario arricchire il concetto di donna, renderlo polisemico, sconfiggendo antichi pregiudizi, ricorrenti pigrizie mentali, residui di misoginia sociale. Ma perché accade tutto ciò? Una componente da non sottovalutare risiede nel fatto che le donne avvertono come superata quella cultura del piagnisteo e del vittimismo che non ha dato finora i frutti annunciati. Nello stesso tempo non si fidano più delle logiche rivendicative che sono state il pilastro delle piattaforme femministe. Dunque, dinanzi al dilagare delle "pupe" in tv ostentano una indifferente superiorità . Così facendo tuttavia abbandonano molte inconsapevoli "sorelle" più giovani a sciatte forme imitative di modelli sbagliati (non per le donne, ma per la società tutta).
Ciò non deve indurre a un pessimismo di maniera. In questo campo, che è simbolico e metapolitico,le azioni concrete contano più delle riflessioni. Per ora certi dibattiti scorrono nello spazio fluido e immediato
del web, magari quando la tv avrà esaurito i suoi format più trash, arriveranno anche le telecamere che contano.