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Roma non è NY

• da Il Foglio del 20 maggio 2010

di Angiolo Bandinelli

 

Mallika è cingalese, nativa dello Srì Lanka. Ventidue anni fa si separò dal marito e venne in Italia portandosi appresso quattro dei suoi sette figli. Li ha tirati su, vivono tutti a Roma. Piccola e un po’ tozza, ha un volto quieto e gentile, quando ride i denti bianchissimi splendono e gli occhi, di un pastoso avorio, luccicano. E’ silenziosa quanto coraggiosa, accudisce dolcemente l’inferma per l’intera giornata, la sera torna a casa in una lontana periferia.
Quando non è presa dall’incombenza, si siede e guarda fuori della finestra. lo sguardo un po’ perduto in lontananze e ricordi, forse. Ogni tanto deve andare dal medico a curare una gamba malandata e si fa sostituire da una delle figlie. Minuta e anche lei sorridente, sposata a un cingalese, di solito fa la baby sitter. Anche l’altra figlia lavora da baby Bitter. Dei due fratelli uno è fisso in un ristorante, l’altro per il momento è disoccupato. Negli ultimi giorni. però, Mallika ha mandato Renata. Renata è una polacca sui trent’anni, bionda, piuttosto bella, lo zigomo un po’ duro di un volto dell’est, il look aggressivo di una borgatara trash. E’ in Italia da sei anni, prima a Napoli poi a Roma. E’ iperattiva, sistema per bene sulla consolle accanto al letto gli ammennicoli dell’inferma, le bottigliette dell’acqua o del tè, ìl mandarino, i fazzolettini di carta. Alla fine, si chiarisce che è la fidanzata di uno dei figli di Mallika e vive anche lei nella lontana casa di periferia. Quando l’inferma viene dimessa dall’ospedale, Mallika la segue per far andare avanti la casa. Cucina col curry e fa un cuscus eccellente. Lei è vegetariana, non perché buddista ma perché la carne non le piace proprio. Secondo Renata, che le dà il cambio, a casa di Mallika si mangia
sempre riso, riso, riso, lei cucina in mille modi le patate, strapazza gli spaghetti e promette che farà il borsch.

La concorrenza dell’egiziano
Scartate due ucraine appena arrivate in Italia e incapaci di spiccicare una parola di italiano, Mallika fu indicata da Sàgara, il cingalese che fa il portiere dello stabile accanto. Sàgara legge molto, soprattutto di storia dell’Asia, dipinge all’acquarello cartoline naif. E’ venuto in Italia chiamato dal fratello Raymond, che fa anche lui il portiere, è sposato con Sandhiya, molto bella, e ha due figlie che vanno regolarmente a scuola. Sandhiya è buddista, Raymond è cattolico. Non sembrano avere lo spirito intraprendente della coppia di bengalesi che gestiscono il chiosco di frutta e verdura poco distante. Questi lavorano duramente, sono aperti anche le domeniche, a Natale o a Ferragosto. Lei veste sgargianti abiti di leggere stoffe indiane, a Roma ha fatto una bambina. Adesso hanno preso due lavoranti, ma cominciano a soffrire la concorrenza dell’egiziano che pure lui ha avviato, a un duecento metri di distanza, un negozietto di frutta e verdura.
L’egiziano vende delle sottili focaccine, quasi piadine ma più morbide e delicate. Farcite di mortadella o prosciutto e scaldate nella padellina, sono favolose. Maliika ne è gelosa, ha provato a impastarne di sue ma, dice, la farina non è adatta, porterà lei quella buona. Nel quartiere, sembra che le varie etnie si stiano dividendo il mercato. fisso o ambulante, secondo una ripartizione merceologica forse contrattata e magari combattuta tra clan razziali. Nella vicina pizzeria a taglio, un albanese vende ottimo kebab però fatto con manzo e non con carne di pecora, i cinesi stanno aprendo dovunque suk di chincaglierie, o anche frutterie dove trovi scatolame orientale (la ragazza al banco tagliuzza e insacchetta minestroni. ma dice ‘Ile lite’’, non pronuncia la "r"), in una vicina piazza i senegalesi gestiscono bancarelle per minuterie etniche, tipo graziosissimi braccialetti di corno di bue. quando stava bene l’inferma ne portava sempre uno al polso. I rumeni, poi, li trovi dappertutto.
A New York, ha scritto un giornale, convivono più di ottocento lingue diverse. e nelle sue scuole si parlano centosettantasei idiomi. A Roma forse le cifre non sono quelle, ma ci si avvicina abbastanza. La differenza è che New York è consapevole della sua specificità, ne trae qualche motivo di orgoglio, studiosi e ricercatori si danno da fare per tenere in vita quell’immenso patrimonio culturale e umano; Roma cerca di non sapere o ignora, prova fastidio e nasconde sotto il tappeto la realtà e i suoi problemi, finge di essere ancora la città romanesca di Alberto Sordi e Aldo Fabrizi. Solo in parrocchia ci si rimbocca le maniche, energiche signore del volontariato indirizzano la ricerca di lavoro di decine di extracomunitari uomini e donne (perfino peruviane): pare che la maggioranza di queste presenze non sia regolare, devono vivere come talpe nel sottosuolo. New York è una città aperta, dunque laica, RoMa no. Bisogna
ammetterlo, in questa vicenda (e non solo a Roma) si è lasciata giocare la parte laica alla chiesa.


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