Â
L’ultimo libro di Massimo Teodori, il quinto in quattro anni (Pannunzio, Mondadori, p.280, euro 19,50) sarà presentato il prossimo giovedì alla camera, dopo la proiezione del documentario "Pannunzio & Il Mondo" curato da Nello Ajello. Del rapporto tra Pannunzio e il suo capolavoro (successivo al Risorgimento liberale), che metteva insieme liberali, socialriformisti, repubblicani, ex azionisti, il Corriere della Sera ha scritto: «Si era così creato un polo intellettuale democratico, alternativo alla fucina gramsciana del Pci. E il centrismo degasperiano aveva trovato una vigile coscienza critica, sempre all’erta di fronte al pericolo di un’involuzione confessionale». Aiutò a far nascere il centrosinistra, si sa, ma non riuscì a far nascere la terza forza, tanto apparentemente diversi erano i laici fra loro quanto apparentemente compatti fra loro erano i democristiani per un verso e i comunisti per l’altro.
Così Il Mondo, nato nel 1959, si esaurì nel hanno 1966, come impedito la vent’anni prima s’era esaurito il Pli dividendosi sullo scoglio della scelta tra monarchia e repubblica: la passione istituzionale era stata più forte della ragione storico-politica, che avrebbe consentito al Pli di arroccarsi, in attesa che i tempi logorassero i partiti di massa, come terza forza tra polo conservatore cattolico e polo progressista marxista. Come in Inghilterra, come in Germania, oggi. «E col Pli scomparve - annota Teodori - un altro
punto di riferimento, dopo il partito d’azione, della democrazia laica e riformatrice, e iniziò la diaspora che avrebbe attraversato tutta la vicenda della repubblica». Protagonisti (di cultura laico-liberale) di quella diaspora, due giovani rampolli del mondo pannunziano, Eugenio Scalfari e Marco Pannella: l’uno fondatore dell’Espresso e poi di Repubblica, il giornale-partito dei democratici laici, capace di pressione condizionante sia sulla sinistra democristiana che sul riformismo comunista, fino alla nascita del Pd; l’altro, vento individualistico di tempesta sulla palude clericomarxista, stratega di frattura piuttosto che di continuità con gli equilibri e la modestia pannunziani. «Grande direttore di una raffinata orchestra politica e culturale» Pannunzio, «ineguagliabile solista che ha silenziato le voci intorno a lui» Pannella. E tuttavia, se nessuno fra i tanti debitori ha potuto o voluto raccogliere l’eredità pannunziana, come sostiene Teodori, a noi sembra che l’opera dei due eredi-non eredi, tuttora protagonisti della vita civile italiana, garantisca quella terza cultura né clericale né materialista (nel senso peggiore, di destra) che è la premessa per ribaltare il biculturalismo antidemocratico.