Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
ven 09 mag. 2025
  cerca in archivio   RASSEGNA STAMPA
La brutta Italia di Cannes

• da Libero del 21 maggio 2010

di Giorgio Carbone

 

Premetto che il discorso dei panni sporchi che si debbono lavare in famiglia io non l’ho mai digerito.
Specie riferito al cinema. Con la scusa della famiglia, i panni non venivano mai lavati. E quindi bravi i registi che parlavano delle magagne del nostro Paese senza paura che a causa loro l’Italia venisse considerata un immenso immondezzaio. E bravi anche i governanti che non mettevano i paletti. Ero ragazzino quando Rosi presentò "Le mani sulla città" (che non era certo tenero con le classi dirigenti) ma mi gonfiai d’italico orgoglio quando il regista volle sottolineare: «L’Italia è oggi un Paese dove è possibile lavorare e lottare per le proprie idee». Sono passati quasi 50 anni. E oggi i nostri prodi lottano per una sola idea: l’Italia berlusconiana fa schifo. Ieri sulla Croisette era il turno di Daniele Luchetti che ha mostrato le mutande sporche con "La nostra vita". Che vogliamo premettere è un film ben fatto, ben recitato (ben lontano dai rutti della Guzzanti) ma che non rinuncia all’idea dell’Italia immondezzaio.
Soprattutto a causa della sceneggiatura (dei rossissimi Rulli e Petraglia) ognuno esce dal cinema con l’idea che qualsiasi povero italiano, per uscire dal guano, non ha altra possibilità che imbrogliare e ricattare.
Quello che il pubblico francese (e inglese, e spagnolo) voleva sentirsi dire. Gli spagnoli segano gli stipendi degli statali, i francesi hanno le banlieu in fiamme, gli inglesi hanno una crisi politica che non si vedeva dai tempi di Oliver Cromwell. Ma la cantina d’Europa è l’Italia. L’unica sacca d’inciviltà del Vecchio Continente. Anche se qualche francese nutre dei dubbi (ma i francesi nutrono con difficoltà, il loro complesso di superiorità nei nostri riguardi ha radici multisecolari), il quadro che i nostri cineasti hanno voluto offrire è troppo nero per non convincere chi vuole già essere convinto. Ieri Luchetti, mercoledì Marco Bellocchio (ma lo psichiatra che l’assiste da 30 anni non gli ha insegnato che il torto o la ragione non stanno tutti da una parte?). La scorsa settimana, Sabina Guzzanti che col folle fascennino ha guadagnato sulla Croisette il titolo di Michael Moore italiana (chiedo scusa al Michael per tutto il male che ho scritto di lui negli ultimi sei anni). Qualcuno obietterà: ma avranno pur diritto poveracci di esprimere il loro dissenso su questo Paese. Certamente, come ha diritto il sottoscritto di dissentire da questo cinema. Perché non assomiglia a quello di Rosi. E nemmeno a quello di Verdone, per cui feci le prime recensioni da titolare di rubrica. Ieri il Carlo ha voluto unirsi al coro, sparando, all’università di Roma, bordate contro Bondi e persino contro il cardinale Bagnasco, reo di non aver fatto vincere la Bonino. Caro Carlo, vuoi sapere perché eri così simpatico ai tempi di “Bianco rosso e Verdone"? Perché l’unico coro che conoscevi era quello dei chierichetti.
Mentre Cannes piange, Venezia ride. Proprio così, nell’anno di grazia 2010, la Mostra italiana smette ufficialmente il ruolo di Cenerentola dei festival e si assesta autorevolmente sulla cima. Che non occupava da circa 40 anni. Che vuol dire, da sempre, essere in cima? Avere i film migliori. E gli ospiti più prestigiosi (dive, divi e superstar della regia).Venezia, dopo sette lustri di egemonia (la mostra era nata nel lontano 1933) perse il primato appena iniziarono gli annidi piombo e perse ti itto (cioè entrò in coma profondo) dal 1974 al 1979. Poi si risvegliò a nuova vita. Che però non fu più la stessa. Per in tenderci, dal Milan
di Gullitte Van Basten a quello costretto a lottare per il terzo posto. Ma stavolta vince il campionato. Mentre Cannes vivacchia, la mostra 2010, la numero sette dell’era Marco Muller, s’annuncia "straordinarissima" (per usare l’eloquio di qualche famoso presidente milanista). 11 programma fa venire l’acquolina in bocca a tanti probabili festival ieri. Tutto il meglio del cinema americano e italiano. I nostri pro di presenti a Cannes in versione dimessa ("La nostra vita" di Luchetti) oppure sconcia (la Guzzanti) irromperanno a Venezia amò di fiumana. Fu annunciato Nanni Moretti ("Habemus papam"). E annunciatissimo Mario Marione con il suo kolossal sul Risorgimento "Noi credevano". È arcisicuro Pupi Avati con "Una sconfinata giovinezza" e pressoché inevitabile "Vallanzasca" di Michele Placido (con Kim Rossi Stuart). E poi l’ultimo di Castellitto, e "Il gioiellino" di Molaîolo ("la ragazza del lago") sul crack della Parmalat.
E ora sentite cosa arriva dall’America. Nientepopodimeno (come si diceva in Tv mezzo secolo fa) "The tree oflife" del regista-mito Terrence Malick con Sean Penn e Brad Pitt. Un’opera corteggiatissima da Cannes (il mito, all’ultimo, ha voluto optare per il Lido). Poi c’è "The american" di Anton Corbjin con George Clooney alla testa di un cast molto italiano (Violante Placido, Filippo Timi).
E l’inglese Iulian Schnabel (Oscar 2008) che porta "li itirai" che ha ricavato dal romanzo scritto dalla sua signora, che poi sarebbe Bula "bella gnocca senza cervello" Jebreal (mica scemo Schnabel, oltre che bravo regista). Questi i primi film sicuri del cartellone veneziano. Che già da soli garantiscono un’orgia divistica che in queste settimane Cannes non s’è manco sognata.
Quindi Brad Pitt e George Clooney, Sean Penn (sempre che a settembre non sia ricoverato in qualche clinica) e Freida Pinto (la ragazza di "The millionaire" ora protagonista con Sdnlabel), Valeria Solario e Paz Vega, Luca Barbareschi e Claudia Cardinale (nel francese "Lebalcon sur le mer’), John Turturro e Fiorello (ma sì, Turturro è impazzito per l’ormai cinquantenne entertainer e l’ha voluto nel suo "Passione", omaggio molto americano alla canzone napoletana).


IN PRIMO PIANO







  stampa questa pagina invia questa pagina per mail