Attacco con armi chimiche contro l’ospedale principale di Bersheba nel Negev, colpita una fabbrica dove si producono materiali tossici; centinaia di razzi e missili piombano sulle città israeliane, da Haifa ad Ashdod; esodo della popolazione del Nord; migliaia di morti e feriti, la gente nei rifugi; devastazione e la fiorente economia in ginocchio: quattro giorni di prova generale di una possibile guerra sono cominciate ieri in tutto il paese. "Punto di svolta n. 4", uno scenario di conflitto mai visto da Israele e come fronteggiarlo, fa tremare tutta la regione. Netanyahu cerca di tranquillizzare.
Le prove erano previste da tempo, fanno parte di esercitazioni normali, avverte. La guerra non è alle porte, garantisce il generale responsabile del "fronte nord": la situazione «non è mai stata così calma», anche se «siamo pronti a una guerra totale nel giro di poche ore». Ma non tutti ne sono convinti alla vigilia di un’estate che si presenta incandescente. Hezbollah in Libano mobilita le riserve e mette le sue truppe in stato di allerta, la Siria chiede aiuto all’Occidente per frenare Israele che «vuole provocare lo scontro»..La tensione cresce anche lungo la striscia di Gaza dove l’esercito ha bloccato una mini-incursione da parte di due militanti mentre la Marina si prepara a fermare una flottiglia di pacifisti palestinesi ed europei guidati da un israeliano carichi di beni perla popolazione palestinese assediata. La stampa israeliana, racconta, analizza e cita anonimi esperti locali per inviare segnali divergenti. Nessuna guerra, per ora. Ma se le esercitazioni dimostreranno la capacità del fronte interno di reagire bene, è più fattibile un massiccio attacco israeliano per smantellare l’apparato militare messo in piedi da Hezbollah grazie all’aiuto di Siria e Iran. Un’azione "isolata" oppure in concomitanza con l’assalto al nucleare iraniano.
A sentire le dichiarazioni di tutti i giocatori di questa complessa partita, nessuno vuole la guerra. Washington invita tutti alla calma, critica Damasco per aver rifornito Hezbollah anche se non conferma l’invio di missili sofisticati alla milizia sciita libanese e cerca in tutti i modi di avviare un dialogo di pace. Sono mesi che la Siria sollecita un negoziato serio ma regnano contrasti e confusione nella coalizione di
governo in Israele. Gli unici ad avere, apparentemente, le idee chiare sono gli analisti dell’Intelligente militare per i quali l’obiettivo strategico di Assad è la pace e la normalizzazione con Israele attraverso, ovviamente, la restituzione delle alture del Golan. Rischia di scaldarsi anche l’altro "fronte": c’è stata la prima tornata di colloqui indiretti (attraverso la mediazione americana) tra israeliani e palestinesi. E’ presto per dire se porteranno a qualcosa di positivo e nel frattempo le iniziative non violente dei palestinesi per fronteggiare l’occupazione preoccupano sempre più la leadership israeliana. Il boicottaggio delle merci prodotte negli insediamenti si va estendendo e c’è chi in Europa sollecita azioni simili a quelle che misero in ginocchio il regime dell’apartheid in Sudafrica.
Netanyahu e i suoi ministri si sentono sempre più isolati nel mondo. Premono anche i paesi arabi moderati che vedono nell’intransigenza israeliana un’arma nella mano di Teheran. Anche se tutti i leader arabi sono profondamente preoccupati dal nucleare iraniano sanno che un’azione militare israeliano potrebbe incendiare l’intera regione e mettere a repentaglio i loro regimi. Per Yossi Melman, stimato analista di Tel Aviv, Israele ha tutto da perdere se colpisce l’Iran senza il consenso americano (Obama
è contrario) ma è impossibile, allo stato attuale, comprendere a fondo dove vuole andare Netanyahu che potrebbe non capire, spiega, come il il mondo è cambiato da quando il suo predecessore Begin ordinò
la distruzione del reattore nucleare di Saddam Hussein