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In Italia è impossibile arrestare Bashir ricercato per genocidio

• da L'Unitŕ del 25 maggio 2010

di Umberto De Giovannangeli

 

L’ennesima figuraccia. L’ennesimo impegno non mantenuto. L’Italia continua a mietere insuccessi e
«maglie nere» nella sua proiezione internazionale. Il viaggio dell’Unità nel mondo del Cavaliere-Pinocchio continua: dopo il mancato rispetto degli impegni assunti per gli obiettivi della Campagna del Millennio; dopo l’«assassinio» annunciato, e praticato, della Cooperazione internazionale; dopo la scure abbattutasi su ambasciate e consolati italiani all’estero; dopo l’esclusione del nostro Paese dagli incarichi che contano nell’Europa comunitaria...
Dopo tutto questo ecco «un’ulteriore perdita di credibilità dell’Italia in politica estera: pur essendo stato il primo Paese a firmare e tra i primi a ratificare lo Statuto di Roma che ha dato vita alla Corte Penale Internazionale già in vigore dal 2002, non ha ancora adottato le leggi interne di attuazione». A denunciarlo sono gli europarlamentari dell’Italia dei Valori, Niccolò Rinaldi e Pino Arlacchi, a margine di un dibattito al Parlamento europeo sull’«Adesione dell’Unione alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,Corte penale internazionale Statuto di Roma».
Dodici anni dalla firma. Otto anni dalla ratifica. Ma per l’attuazione non è ancora tempo... «La Corte, nei limiti previsti dallo statuto, funziona. L’Italia invece non ha adeguato la legislazione. Sta diventando una situazione imbarazzante. Una persona accusata di un gravissimo crimine quale il genocidio che volesse rifugiarsi in un posto sicuro potrebbe venire da noi. Non c’è alcuna norma che consenta di arrestarla e consegnarla, collaborando con la Corte», annota il giurista Antonio Marchesi, per molti anni presidente di Amnesty Italia. La gravità del fatto è chiara: nel caso in cui un ricercato della Cpi - ad esempio il Presidente del Sudan Al-Bashir incriminato dal Procuratore generale della Corte per i crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Darfur - venga a trovarsi sul territorio italiano, il nostro Governo non sarebbe in grado di collaborare all’arresto e al trasferimento dell’imputato al tribunale dell’Aja». Nell’ordinamento giuridico italiano, insiste Marchesi in «Diritti umani e Nazioni Unite. Diritti, obblighi e garanzie» (Franco Angeli), «mancano le norme necessarie ad attuare - attraverso l’azione degli organi statali - gli obblighi di cooperazione con la Corte, che tutti gli Stati parti sono tenuti a rispettare: dall’obbligo fondamentale di arresto e consegna alla Corte di persone richieste da quest’ultima, di cui all’art.89 e successivi dello Statuto, ai numerosi altri obblighi di cooperazione elencati nell’art.93, relativi soprattutto alla raccolta e alla conservazione delle prove...». Un ricercato per crimini di guerra può aggirarsi liberamente in l’Italia «protetto» dalle inadempienze del nostro ordinamento legislativo: un altro vergognoso primato...
Rimarca l’avvocato Laura Guercio, presidente della Legal Aid Worldwide (Law), un’associazione per la tutela giurisdizionale dei diritti umani, in un articolo (febbraio 2009) per la rivista mensile Minerva: «Nonostante il dettato costituzionale e la sollecitudine con cui aderisce alle convenzioni sovranazionali sul riconoscimento e tutela dei diritti umani, l’Italia è clamorosamente inadempiente sul piano della loro esecuzione e dell’adeguamento dell’ordinamento interno». La lista è lunga: dalla mancata- inclusione - a oltre vent’anni dalla ratifica della Convenzione Onu del 1988 - del reato di tortura nel suo Codice Penale; alla mancata istituzione di una Commissione nazionale autonoma e indipendente per i diritti umani in attuazione della risoluzione della Assemblea Generale delle Nazioni Unite 48/134 del 1993 e della raccomandazione del Consiglio di Europa 14 del 1997; al mancato adeguamento, dopo-ben dieci anni dalla ratifica dello Statuto di Roma sulla Corte penale internazionale (nato appunto a Roma e che l’Italia fu il quarto Stato a firmare) delle norme dell’ordinamento interno per- collaborare con la stessa Corte. «In altre parole - rileva ancora l’autrice - ciò significa che in Italia è negata la processabilità di reati che possano configurarsi torture (è accaduto, ad esempio, per i processi per i fatti del G8 di Genova del 2001), ma anche che se un ricercato della Cpi si venisse a trovare sul territorio italiano, il nostro Governo non sarebbe in grado di collaborare al suo arresto e trasferimento al tribunale dell’Aja...».
Altro tempo è passato, ma nulla di sostanziale è cambiato. L’Italia era e resta inadempiente. Una inadempienza voluta, perseguita scientemente: «Non solo il Governo non ottempera con decreti legislativi agli obblighi derivanti dalla ratifica dello Statuto di Roma ma, a fronte di numerosi disegni di legge in materia, né i presidenti delle Commissioni parlamentari competenti, né il Governo concedono mai corsie preferenziali per recuperare la grave lacuna normativa; hanno denunciato a più riprese i deputati radicali Rita Bernardini e Matteo Mecacci. La bocciatura è totale. «In febbraio - dice a l’Unità Pietro Marcenaro (Pd), presidente della Commissione sui Diritti umani del Senato - l’Italia è stata sottoposta a Ginevra, davanti al Consiglio dei Diritti umani dell’ Onu, al suo turno di osservazione.
Le 92 raccomandazioni all’Italia riguardano:
1)le politiche nei confronti dell’immigrazione, in particolare l’introduzione del reato di immigrazione clandestina e i respingimenti collettivi in mare che negano il diritto di asilo e di protezione umanitaria;
2) le politiche verso le minoranze, in particolare verso Rom e Sinti;
3)la mancata ratifica delle Convenzioni e dei Trattati internazionali sottoscritti, in particolare il Protocollo sulla tortura e l’introduzione nel Codice Penale del reato di tortura; l’adeguamento della legislazione allo Statuto della Corte penale internazionale. E poi c’è la mancata costituzione di una Autorità indipendente sui dei diritti umani, cosa prevista dagli impegni internazionali che l’Italia assunse quando si candidò a entrare nel Consiglio dei Diritti umani dell’Onu». «Entro il 9 giugno - conclude Marcenaro - dovrà dare la sua risposta a queste raccomandazioni - E nei punti principali si annuncia, purtroppo, una risposta negativa».-*.,


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