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Sul pendolo costante del Pd

• da Il Sole 24Ore del 25 maggio 2010

di Miguel Gotor

 

Due fili tanto sottili da sembrare invisibili uniscono la trama bipolare italiana: il primo va da Berlusconi a Vendola passando per Veltroni, il secondo da Fini a D’Alema passando per Casini. Tali personalità, seppur divise in destra, sinistra e centro, sono accomunate da una medesima cultura politica La prima ha un impianto populistico-plebiscitario che prevede partiti illanguiditi intorno al corpo del capo e un linguaggio biopolitico post e premoderno che ruota intorno alla gente, al territorio, al genere, all’antipolitica.
La seconda ha caratteri costituzionali-rappresentativi che implicano partiti con una funzione autonoma e un linguaggio normativo moderno imperniato sui temi della sovranità come separazione dei poteri, dei diritti, della cittadinanza, della politica.
Ora che le polveri della propaganda si sono depositate, possiamo osservare meglio come nelle regionali del Lazio e della Puglia si siano giocate in realtà due rilevanti partite nazionali. Nel Lazio la Polverini era nata come candidata di Fini, ma ha vinto le elezioni in quanto protetta di Berlusconi al quale è stata costretta ad affidarsi dopo avere subito lo scherzetto della mancata presentazione delle liste, organizzato da un vecchio militante di Forza Italia che nessuno pensa abbia agito da solo. La Polverini dunque non ha prevalso grazie a Fini, e Berlusconi ha così raggiunto il suo obiettivo. La rottura intervenuta nei giorni successivi fra le due personalità è stata la logica conseguenza di quello schiaffo,
In Puglia ha vinto Vendola, ma anche in questo caso Berlusconi ha svolto un ruolo significativo, scegliendo di opporgli un candidato debole e rifiutando l’alleanza con la Poli Bortone. D’altra parte nessuno oggi ricorda la verità consegnata dai risultati elettorali, ossia che il centro-sinistra, se avesse candidato Boccia accordandosi con l’Udc, avrebbe vinto ugualmente. Ma era proprio questo che si voleva impedire, ossia l’affermazione del disegno di D’Alema che pensava fosse preferibile saggiare in periferia un asse tra riformisti e moderati da riproporre poi su scala nazionale per sconfiggere Berlusconi. Vendola si è battuto come un leone mostrando qualità di vero politico: convinzione ideale, tempismo, scaltrezza, determinazione. Chi lo conosce bene non è rimasto sorpreso perché sa che è una vecchia volpe della foresta politica italiana, essendo stato candidato la prima volta in Parlamento nel 1987. Avendo perduto nel 2008 il congresso di Rifondazione comunista che lo avrebbe dovuto acclamare segretario, ha fondato il movimento Sinistra, ecologia e libertà, e ha iniziato, del tutto coerentemente, a dichiarare che «i partiti sono morti»: in modo un po’ spregiudicato, ma comprensibile. Ma ora Vendola come intende gestire il potenziale che gli viene riconosciuto dopo la battaglia pugliese? Ha davanti a sé due strade, l’una saggia, l’altra ambiziosa: la prima è quella di diventare la guida di uno schieramento post-comunista, libertario, ecologico, movimentista, laico, alla sinistra del Pd, come esiste in Francia, in Spagna, in Germania, in grado di superare il 4% e di coalizzarsi con lo schieramento alternativo a quello guidato da Berlusconi. Il bacino elettorale a cui attingere ci sarebbe: a sinistra i voti congelati dall’astensione o politicamente contendibili sono almeno un paio di milioni.
L’altra strada è quella di allearsi con l’attuale minoranza del Pd per provare a costruire un ticket in occasione delle primarie che sceglieranno il candidato premier dei progressisti. Le primarie sono un meccanismo che richiede strutture leggere e fideizzate, fabbriche di partecipazione e propaganda come quelle create da Vendola in Puglia, una narrazione affabulatrice, il sostegno e la capacità di utilizzare mezzi di comunicazione vecchi e nuovi, tutte doti chel’Obama di Terlizzi" ha mostrato di possedere a iosa.
Oggi tutti parlano bene di lui e ciò dovrebbe insospettirlo: non sorprende che anche la stampa più vicina a Berlusconi lo lanci come possibile leader del centro-sinistra, ovviamente da scegliersi con le primarie, ben sapendo che loro da opporgli avrebbero qualcuno di meglio che Palese. La dichiarata indisponibilità dell’Udc a scegliere con questo metodo un candidato premier riproporrebbe a livello nazionale lo schema pugliese: da un lato, si ridurrebbe il potere di coalizione del Pd, che nonpuò essere limitato all’Italia dei valori e ai Radicali come ai tempi di Veltroni, dall’altro la candidatura di Vendola alle primarie chiamerebbe in campo quella di Bersani, dando vita a un lacerante scontro dentro il partito dagli esiti imprevedibili. In un caso come nell’altro favorendo Berlusconi. Per questa ragione il premier dichiara di apprezzarlo moltissimo e ha fatto di tutto per tenerlo in vita. Del resto, come dargli torto? Certe mine
vaganti possono tornare utili, a patto che siano collocate nel campo avversario. Per questa ragione il Pd deve cambiare passo per provare a disinnescarla il prima possibile con una robusta iniezione riformista.
Del resto, il prossimo presidente del Consiglio sarà colui che avrà la capacità di sparigliare le carte, riuscendo a tenere in una sola mano la parte migliore di entrambi i fili: il populismo democratico dell’uno e l’equilibrio costituzionale dell’altro. Facile a dirsi, difficile a farsi, ma è certo che finché i fili resteranno separati vincerà Berlusconi, mentre al Pd rimarranno in dote, come premio di consolazione, il valore di questo bipolarismo e la gara identitaria delle primarie per la soddisfazione dei politologi e la gioia dei suoi tanti avversari.


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