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Sfoderare le armi democratiche

• da la Voce Repubblicana del 25 maggio 2010

di Luca Bagatin

 

Abbiamo finalmente appreso che l’ottobre prossimo si terrà il Congresso del nostro PRI e che sarà organizzato "per tesi". Nulla di più auspicabile. E’ infatti innanzitutto importante partire dai programmi e, solo poi, decidere ove collocarsi politicamente. Per quanto personalmente sia aprioristicamente contrario ad un’alleanza con i cattocomunisti ed i giustizialisti, lontani anni luce da una prospettiva liberale e democratica.
Con questo mio pezzo vorrei cogliere l’occasione per delineare una serie di punti programmatici e di riforma, che personalmente ritengo utili all’elaborazione delle suddette tesi. Penso infatti che il Partito Repubblicano, a dispetto della sua consistenza numerica, possa porsi all’avanguardia di un progetto di riforma di ampio respiro. Progetto che parta innanzitutto da un radicale snellimento della macchina amministrativa e che ponga al primo punto l’abolizione delle Province italiane quali enti politici, l’accorpamento dei Comuni inferiori ai 20.000 abitanti, l’abolizione dei consorzi e delle comunità montane.
Solamente poi potremo anche iniziare a parlare di federalismo fiscale. Non certo prima, pena l’aumento della burocrazia e dei costi a livello locale ed amministrativo. In seconda battuta è prioritaria una riforma delle pensioni a capitalizzazione, in linea con i Paesi europei e di cui ha più volte parlato l’On. Giuliano Cazzola. Una volta ridotti i costi, che necessariamente devono prevedere anche un ridimensionamento delle indennità di carica dei vari amministratori locali e nazionali ed uno snellimento del personale
amministrativo qualora in esubero, si potrebbe pensare - finalmente - ad una radicale trasfot7nazione del sistema fiscale che, via via, si riduca ad un massimo di due o tre aliquote e che preveda l’innalzamento della cosiddetta "no tao area".
Tutte cose, guarda caso, previste e promesse dal primo Governo Berlusconi con la consulenza dell’ottimo Antonio Martino e degli economisti di scuola liberale e successivamente disattese dallo statalismo neodemocristiano e leghista dei Tremonti e dei Bossi degli ultimi governi a guida berlusconiana. Venendo alla politica estera, da repubblicani mazziniani, non possiamo non sostenere la trasformazione del Parlamento Europeo in vero e proprio organo con poteri di governo sovranazionali. E non possiamo non rinnovare la nostra amicizia agli Stati Uniti d’America e allo Stato di Israele. Nonché, in ultima ma forse più importante battuta, non possiamo non scandalizzarci di fronte alla politica neo-sovietica del Presidente russo Vladimir Putin, amico di Berlusconi, estimatore di Stalin e persecutore dei suoi oppositori politici interni. E non possiamo non scandalizzarci della pericolosa politica di amicizia fra l’Italia e la Libia del dittatore Gheddafi.
Non è pensabile che un partito democratico ed occidentale come il PRI possa sostenere una politica estera così smaccatamente antiamericana ed anti-occidentale. Venendo alla questione dei diritti civili, sarebbe opportuno ricercare una sinergia con le altre forze lai- che: dai Liberali di Stefano De Luca e Paolo Guzzanti sino ai Radicali di Pannella e Bonino e a quei socialisti, sparsi nel centrodestra e nel centrosinistra, che non hanno ancora del tutto ammainato la bandiera del libero pensiero.
Guardando al panorama politico d’oggi, a parte le coraggiose prese di posizione di Gianfranco Fini e della neonata Generazione Italia (interessante che ad essa si siano iscritte molte persone che non sono mai state di centrodestra) e qualche timida presa di posizione dell’Udc relativamente alla necessità di abolire le Province, grandi prospettive di respiro democratico, occidentale e europeista non se ne vedono.
Sembra quasi di vivere in un Paese del Sudamerica, ove il risultato delle elezioni è deciso o a tavolino o mediante slogan facili. Ove non vi sono seri e radicali progetti di riforma, ma boutade messe lì apposta per imbrogliare l’elettorato.
Ecco, dopo 150 anni di un’Unità d’Italia che abbiamo contribuito a costruire, è forse venuto il momento per i Repubblicani italiani di rialzare la testa e di combattere con le armi della democrazia, come ci insegnò quel grande combattente partigiano di Randolfo Pacciardi.


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