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Tanto rumore per nulla. Governo e maggioranza fanno sapere che sulle intercettazioni «si torna al testo della camera».In realtà , il passo indietro riguarda soltanto il divieto di pubblicare, anche «per riassunto», gli atti di indagine non più segreti. Niccolò Ghedini, consigliere giuridico del premìer, ieri mattina ha varcato la soglia dello studio del presidente della camera per rassicurarlo sul ripristino dell’emendamento-Bongiorno (cancellato al senato) e ha incassato la «soddisfazione» di Gianfranco Finì. A parte questo punto, non ci saranno altri passi indietro rispetto alle modifiche già approvate dal Senato: restano la registrazione fraudolenta (norma D’Addario) punita fino a 4 anni di carcere (salvo per chi esercita il diritto di cronaca); lo slittamento di un anno della norma che attribuisce al Tribunale collegiale il compito di autorizzare gli ascolti; l’intercettabilità anche del reato di stalking (lunedì sera, in commissione, è stato approvato l’emendamento Li Gotti); la salvaguardia dei parlamentari e dei loro familiari; la norma transitoria che fa scattare le nuove regole (compresi i divieti di pubblicazione) anche nei processi in corso (ferme restando le intercettazioni già autorizzate).
Governo e maggioranza promettono però qualche passo avanti per rendere più soft il provvedimento: oltre a cancellare la censura totale alla stampa, saranno ridotte le sanzioni agli editori e potrebbero essere presentate norme meno rigide per piazzare cimici e microspie.
Il termine per le modifiche scade venerdì sera perché ieri la conferenza dei capigruppo ha deciso
di far approdare il ddl in Aula lunedì31 maggio. Decisione presa a maggioranza, che oggi sarà votata dall’Assemblea. L’opposizione è contraria e teme che l’accelerazione sia il preludio del voto di fiducia. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito non lo ha escluso, dando consistenza ai sospetti della capogruppo Pd Anna Finocchiaro che vede profilarsi, per l’8 giugno, il solito maxiemendamento del governo e la richiesta di fiducia. «Siamo stati impegnati a discutere anche di notte sul provvedimento, ma andiamo in aula con un testo che è carta straccia e con i tempi contingentati (10 ore di discussione
in totale, ndr): sono cose di straordinaria gravità », protesta la Finocchiaro. La strategia della maggioranza è stata decisa in un improvvisato vertice a palazzo Madama tra il ministro Alfano, i capigruppo di Pdl e Lega, Maurizio Gasparri e Federico Bricolo, il relatore del ddl Roberto Centaro e il presidente della commissione Giustizia Filippo Berselli. Il guardasigilli ancora una volta lascia alla maggioranza l’iniziativa degli emendamenti (lo aveva già fatto in commissione, assegnando al relatore il compito di presentare quelli più indigesti, come il divieto assoluto di pubblicare atti di indagine), che peraltro saranno messi a punto oggi in una riunione a via Arenula. Se il centrosinistra risponderà «con mille emendamenti o farà ancora ostruzionismo duro», il governo confezionerà un maxiemendamento e chiederà la fiducia, come alla camera un anno fa. Chi ha partecipato al vertice di palazzo Madama spiega che, in ogni caso, le nuove modifiche saranno concordate con i deputati della maggioranza, per evitare che alla camera il testo subisca ulteriori cambiamenti e, quindi, torni al senato.
Anche la Lega spinge per la chiusura rapida del caso-intercettazioni e non nasconde il fastidio per come, finora, è stata giocata la partita da Ghedini e Alfano. Perché insistere sulla censura totale alla stampa? Perché incaponirsi a cancellare l’emendamento-Bongiorno, che tra l’altro rifletteva anche le indicazioni del Quirinale? Perché rischiare di andare a un braccio di ferro con il Colle, oltre che con ì giornalisti, gli editori e i magistrati? Per stemperare le tensioni è sceso in campo anche il presidente del Senato Renato Schifani. «Vorrei evitare che da qui uscisse una legge che venga interpretata come legge bavaglio nei confronti della comunicazione», ha detto ieri, dopo aver mediato tra maggioranza e opposizione, in lite sulla calendarizzazione in aula del ddl: Gasparri voleva il testo già domani, l’opposizione chiedeva tempo; Schifani ha proposto lunedì prossimo. «Hanno fretta per poter applicare subito le nuove norme alla cricca - osserva il dipietrista Luigi Li Gotti -. Le cricche altro non sono che associazioni per commettere atti corruttivi e con questa legge ci sarà un arretramento vistoso nella lotta al crimine». Li Gotti ricorda infatti che il ddl «cancella la norma voluta da Giovanni Falcone nel’91 che prevede una procedura più semplice per autorizzare le intercettazioni per tutti i reati di criminalità organizzata, non solo quella mafiosa».
Ma il ministro degli Esteri Franco Frattini, da Washington, assicura: «Nessuna legge italiana indebolirà la lotta al terrorismo, alla mafia e alla grande criminalità organizzata».