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Castro e il Cardinale

• da Il Foglio del 27 maggio 2010

di Maurizio Stefanini

 

A Cuba prove (molto mediatiche) di una transizione alla polacca Sia dissidenti e analisti diffidano Roma. All’Avana, cinque dissidenti del gruppo Cuba indipendente e democratica denunciano un massiccio dispiegamento della polizia con relative percosse e minacce, semplicemente per impedire loro di recarsi nella casa di Hugo Damiàn Prieto Bianco: un loro leader, agli arresti domiciliari per aver organizzato dieci minuti di protesta con cartelli di fronte alla sede dell’Assemblea nazionale. In precedenza, un’altra persona che cercava sempre di visitare Prieto Bianco è stata addirittura arrestata. E in Norvegia un’esule che sta filmando una protesta davanti al consolato cubano a Oslo ha denunciato di essere stata "aggredita a morsi" dalla console. Notizie delle ultime ore.
Forse non è ancora una doccia fredda sulle speranze appena nate con l’inizio del dialogo tra Radi Castro e il cardinale arcivescovo dell’Avana, Jaime Ortega. Ma per lo meno c’è da porsi qualche domanda. Davvero la chiesa cubana sta provando a forzare il regime verso una transizione sul tipo di quella che avvenne in Polonia a fine anni Ottanta? Oppure è il regime castrista, pur in crescente difficoltà, che prova a usare la chiesa come ammortizzatore sociale, per inseguire la via di una ristrutturazione alla cinese? E ancora - domanda che circola non solo tra i dissidenti a Cuba -. il cardinale Ortega ha la capacità e il carisma necessari per orientare la situazione in un senso piuttosto che nell’altro? Qualche serio dubbio al riguardo lo ha espresso ad esempio l’ex cubanologo della Cia Brian Latell, intervistato dal Nuevo Herald, giornale di riferimento per la comunità cubana di Miami: "Cuba non è la Polonia, la chiesa cattolica cubana non è un’organizzazione profondamente istituzionalizzata, e la mia impressione è che neanche il cardinale sia un individuo troppo deciso". Sempre da Miami, il direttore della Commissione cubana pro diritti umani, Oscar Pena, si è lamentato in un blog che Radi Castro sia "passato sulla testa della dissidenza per negoziare con Ortega".
E dall’opposizione interna il presidente della Commissione cubana dei diritti umani, Elizardo Sànchez Santa-Ciuz, ha parlato di "aspettative molto anticipate" per offerte "quasi irrilevanti". Anche questi critici, però, riconoscono che qualcosa di importante si sta muovendo. Il 20 aprile scorso il cardinale Ortega, capo della chiesa cubana, aveva chiesto al regime castrista di fare i "cambi necessari" per porre termine a "un sistema burocratico e stalinista, che crea lavoratori apatici e a bassa produttività". Una discesa in campo tanto più clamorosa, se si pensa che è venuta proprio utilizzando la rivista digitale dell’arcidîocesi dell’Avana, Palabra Nueva: insomma, la chiesa si è unita all’offensiva della nuova generazione di oppositori via blog il cui simbolo è Yoani Sànchez. In modo altrettanto clamoroso, già il 2 maggio il regime aveva fatto con inedita rapidità un primo passo altamente simbolico, concedendo al movimento di congiunte dei detenuti politici "Damas de Bianco" di marciare pacificamente, senza sottoporle alle consuete vessazioni.
E lo stesso cardinale Ortega aveva preso parte alla manifestazione, in qualità di "garante". Terzo evento epocale il 19 maggio, quando Radi Castro che si è incontrato per quattro ore con Ortega e con il presidente della Conferenza dei vescovi cattolici, Dionisio García, per discutere di un processo per la liberazione dei detenuti politici. Era la prima volta che il regime comunista cubano accettava di negoziare, o almeno parlare, con un’organizzazione nazionale e indipendente: tutti i negoziati con la chiesa avvenuti in passato erano stati gestiti direttamente dalla Santa Sede. E l’organo ufficiale Granma ha pubblicato la fotografia dell’evento in prima pagina. Difficili paragoni sudafricani
Ciò di cui si parla, però, è per ora solo del trasferimento in ospedale dei 25 prigionieri politici in cattive condizioni di salute, per la liberazione dei quali Guillermo Farinas continua il suo sciopero della fame, mentre altri diciassette verrebbero traslocati in carceri più vicini al proprio luogo di residenza, per favorire le visite dei familiari. E’ciò che Elizardo Sànchez Santa-Cruz definisce un aspetto "quasi irrilevante".
D’altronde finora Radi Castro, da quando ha preso il posto del fratello, si è distinto proprio per la tecnica di moltiplicazione delle aperture meramente cosmetiche. Un po’ come nel Sudafrica dell’apartheid, prima della svolta vera, dove il sistema razzista era così ramificato che anche dare il diritto di voto a coloured e indiani ma non ai niri, o autorizzare il matrimonio tra razze diverse senza consentire però ai coniugi di vivere nella stessa zona, poteva dare una sensazione di evoluzione: senza però mai toccare il nodo principale.
Anche a Cuba si potrebbe andare avanti per decenni a concedere il diritto di acquisto di elettrodomestici, il permesso di affitto delle terre, la libertà di collegarsi a Internet a prezzi proibitivi negli hotel per stranieri, il riavvicinamento dei detenuti politici alle famiglie: senza mai arrivare al punto vero dopo il quale si possa veramente dire che il totalitarismo è venuto meno. Nell’Unione Sovietica di Gorbaciov e nel Sudafrica di De Klerk, il nodo fu non solo la liberazione di Sakharov o Mandela, ma il loro essere riconosciuti come interlocutori del potere. Per il momento, Radi Castro preferisce parlare con il cardinale Ortega, che non gode però della legittimazione popolare o internazionale del primate polacco Stefan Wyszynski o di Desmond Tutu, piuttosto che con dissidenti come Farinas, Payà o le Damas de Blanco.


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