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Se si è aperto un dibattito nella chiesa non è colpa degli scandali, ma un successo del metodo laico No, non mi pare proprio utile, e neppure bello - per dar conto della bufera che si è rovesciata sul Vaticano a partire dalla vicenda dei preti pedofili - tirare in ballo l’assedio, l’aggressione "mediatica". Come anche: sarà vero che a sguazzare perfidamente nella polemica antivaticana ci sono i laicisti duri e puri in combutta con gli evoluzionisti e i darvinisti incalliti, ma alla fin fine neanche loro hanno alcuna responsabilità nell’insorgere dello scottante problema.
Per affrontarlo e capirne le origini, le dimensioni e il significato, è molto più fruttuoso, e anche enormemente più facile, prestare orecchio alle uscite, ai pronunciamenti, ai brontolii di uomini della stessa chiesa. Piovono a gragnola. E non si tratta dello sfogo del fedele indignato, dell’accusa del prete tradizionalista e anticonciliare, delle elucubrazioni del teologo-giornalista alla moda, ma di esternazioni lucide e meditate di personalità che nella gerarchia ecclesiale contano, Per dire: basta raccogliere le parole dell’arcivescovo di Vienna, il cardinale Schónborn, teologo e discepolo di Ratzinger, o quelle del cardinal O’Malle, arcivescovo di Boston, rilasciate al NatÃonal Catholic Reporter. I due, che si ha l’impressione siano portavoce di una opinione diffusa nei loro y stessi ambienti f religiosi ed ecclesiali, hanno accusato il cardinale Sodano, già segretario di stato di due Papi, di aver ostacolato l’opera di pulizia intrapresa dall’allora cardinal Ratzinger nei confronti dell’arcivescovo di Vienna, il cardinale Gróer, e del fondatore dei legionari di Cristo, tal Marcial Maciel, immersi a vario titolo nella palude pedofiliaca. Ma Schònborn si è spinto oltre. Stando a un autorevole foglio di indirizzo non certo laicista, l’attuale presule viennese avrebbe anche chiesto "una drastica riforma dell’organizzazione del potere
della curia romana in chiave collegiale; rivedere l’obbligo del celibato per il clero; più considerazione per le coppie omosessuali stabili; rivisitare la dottrina sui divorziati risposati". E quel foglio aggiungeva: "Non si tratta dell’agenda che il teologo ribelle Hans Ktìng vorrebbe imporre alla chiesa di Ratzinger"; no, sono richieste "molto simili a quelle che il cardinale Carlo Maria Martini espose nel 1999", quando arrivò a ritenere possibili e auspicabili "gli ordini sacri per le donne, la partecipazione dei laici ai ministeri, una
nuova morale sessuale, la rivisitazione del sacramento della penitenza e il concetto di ecumenismo", addirittura invocando "l’indizione di un Concilio Vaticano III". Fin qui siamo nell’ambito di un confronto teologico, esegetico o pastorale (chiedo scusa, non sono esperto di queste distinzioni). Ala una autorevole agenzia di stampa cattolico-ratzingeriana sostiene che siamo di fronte a un vero e proprio "scontro nel sacro collegio": forse proseguimento, o appendice, di quello già intravisto all’epoca del caso Boffo, il
direttore dell’Avvenire coinvolto (o gettato) in uno scandalo dai torbidi contorni, che ha più che lambito ambienti di spicco della curia romana.
"Muckraker", gli agitatori di letame Non intendo minimamente entrare nei labirinti del dibattito ecclesiale o di uno "scontro" che ha l’aria di essere (anche) scontro di potere, ma mi sia consentito di dire che non posso non vedere, in queste vicende, il colpo di barra che dimostra la superiorità del metodo laico. Partiamo proprio dalla cosiddetta aggressione mediatica. Che ci sarà , probabilmente, ma come ovvio e inevitabile portato di una libertà di stampa al centro (o quasi) della quale c’è pur sempre quel concetto del giornalista come "muckraker", "agitatore di letame" o dì peggio. Al giornalista "muckraker", che andava a frugare nei più remoti sottoscala del potere e dei suoi dintorni per scavarne fuori il marcio e il lezzo, si deve una bellissima stagione di riforme della società e delle istituzioni americane. Dal momento in cui afferma di voler affrontare apertamente il confronto nello "spazio pubblico", la chiesa non può lamentarsi se dentro quello spazio, quella area, dovrà far fronte a "muckrakers" pronti a sindacare - più o
meno malignamente, come no - le sue vicende più segrete, quelle che nella politica laica vengono definite come "interna corporis" o simili. C’è, evidentemente, un pubblico avido di certe cose e l’informazione è merce che deve farsi vendere: ma, forse, proprio a partire da campagne come questa qualcosa, dove e quando si sia sbagliato, può cambiare. Vogliamo dire che questo è uno dei lati buoni della società laica, laicizzata? Diciamo, per lo meno, che per la prima volta il famoso dibattito tra laici e cattolici non vede più i primi proni ad accogliere il verbo superiore, per ispirazione morale, della chiesa. Stavolta, il relativismo laico può insegnare qualcosa anche all’assolutismo più carismatico. Forse siamo ancora nel vichiano "veritas filia temporis".