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La tentazione di parlare di scontro fra Quirinale e Palazzo Chigi è comprensibile. Il fatto che Giorgio Napolitano abbia rinviato a oggi la firma sul decreto legge con la manovra finanziaria è una notizia. Ma analizzando con attenzione il linguaggio usato per consigliare alcune modifiche, si ricava un’impressione diversa, quasi opposta. La nota diffusa ieri lascia capire che i rilievi del capo dello Stato servono ad evitare contrasti col governo; e soprattutto a scongiurare che, per colpa di «delimitati aspetti» di tipo giuridico e istituzionale, la legge possa correre pericoli. Il presidente della Repubblica è attento a non dare adito a qualunque accusa di invasione di campo. Per questo sottolinea di non volere entrare nel merito di scelte che appartengono all’«esclusiva responsabilità » dell’esecutivo. E la rapidità con la quale Palazzo Chigi ha risposto fin da ieri sera conferma un’interpretazione corretta dell’iniziativa. Il governo sceglie di esaminare separatamente le misure che non rispondono ai criteri in assenza dei quali Napolità no avrebbe difficoltà a firmare. In quel caso il rischio che decada la manovra da 24 miliardi di euro per ridurre la spesa pubblica in due anni diventerebbe concreto. Sarebbe già un contraccolpo grave la certificazione di un conflitto istituzionale al vertice dello Stato. Mala conseguenza più inquietante che si vuole evitare è di rimettere in forse un’operazione finanziaria difficile ed inevitabilmente impopolare; e concordata dal ministro dell’ Economia, Giulio Tremonti, con gli altri governi europei: almeno negli obiettivi di fondo. In più, il contrasto si sarebbe sovrapposto alle considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, attese per oggi.
Per questo il capo dello Stato ha consigliato di prevenire qualunque sbavatura che potesse assumere un rilievo costituzionale. Lo ha fatto sapendo che le sue «osservazioni», termine volutamente discreto e neutro, non sono vincolanti. Il governo era libero di accettarle o meno: sulla strategia «politica, finanziaria, sociale ed economica», nell’elenco puntiglioso del Quirinale, il potere di decidere è soltanto
di Palazzo Chigi. Inutile nascondersi, però, che questi suggerimenti hanno assunto i contorni di un monito.
D’altronde, le frizioni in materia non sono nuove. Anche di recente Napolitano ha espresso la sua contrarietà al modo in cui il governo ingrossa il contenuto dei decreti senza andare per il sottile: metodo ritenuto discutibile per ragioni costituzionali e politiche. Il tentativo è di evitare malintesi e perdite di tempo; e di scoraggiare chi può cercare di usare le «osservazioni» presidenziali sulla manovra finanziaria
per accreditare un braccio di ferro fra Palazzo Chigi e Quirinale: senza capire che non è il momento delle prove di forza, ma della ragionevolezza. Pericolo scampato, sembra di capire.