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I contri dei caschi blu: 61 miliardi di dollari per difendere la pace

• da Il Sole 24Ore del 31 maggio 2010

di Marina Castellaneta

 

Un’invenzione nel complesso di successo. Che ha fruttato alle Nazioni Unite, nel 1988, il Premio Nobel per la pace. Ma che comincia forse a mostrare un po’ di affanno. Sono le operazioni di peacekeeping svolte dai "caschi blu" dell’Onu, sempre più impegnati a mantenere nel mondo la pace e la sicurezza internazionale. E non solo. Ormai, alle missioni di peacekeeping si sono affiancate quelle di peacebuilding, con operazioni via via più sofisticate e con un mandato sempre più ampio. Da missioni finalizzate a
mantenere la pace hanno assunto il compito di ricostruire le strutture statali, dalla giustizia all’economia passando per l’apparato amministrativo e la tutela dei diritti umani. Con un crescente supporto alla popolazione, grazie al personale specializzato messo a disposizione dagli stati. Anche se le caratteristiche essenziali sono rimaste intatte: prima di avviare una missione di "caschi blu" occorre il consenso dello stato in cui le forze saranno dispiegate (salvo nei casi di failed state). Bandita poi la forza. Il personale militare, quindi, può usare le armi soltanto per legittima difesa e deve agire tenendo conto della catena di comando che fa capo al segretario generale dell’Onu. Considerate ormai essenziali per stabilizzare territori alle prese con una fase post-conflittuale, le missioni di "caschi blu" sono cresciute progressivamente in tutto il mondo sotto la direzione Onu, che ne assicura il coordinamento anche grazie al Dipartimento delle operazioni di peacekeeping (Dpko), operativo dal 1999, che garantisce flessibilità e dinamicità alle missioni, adattandole alle diverse situazioni di crisi. In vista di una pace duratura. Il via a queste missioni, non regolate in modo esplicito nella Carta dell’Onu, è stato dato nel 1948 con il primo gruppo di osservatori inviati a monitorare l’attuazione dell’armistizio tra Israele e Paesi arabi. Dal 1948 a oggi le Nazioni Unite hanno messo in campo, in varie zone del mondo, ben 63 missioni: un modello di successo "esportato" in altre organizzazioni internazionali regionali che ormai partecipano, in partnership, alle missioni. Prima tra tutte l’Unione africana e l’Unione europea.
Vediamo i numeri. Nel 2010 sono 15 le operazioni di mantenimento della pace operative in tutto il mondo (7 in Africa, i ad Haiti, 3 in Asia, 2 in Europa e 3 nel Medio Oriente), con 115 Paesi che contribuiscono, in vario modo, al loro funzionamento, che certo comporta un notevole impegno in termini di persone e costi. Tanto più che l’Onu non ha un proprio esercito e tocca quindi agli Stati contribuire con personale militare, di polizia e civile. Grazie alle operazioni di peacekeeping, in paesi come Burundi, Nepal, Afghanistan, Haiti, Irak, Liberia, Repubblica democratica del Congo e Timor Leste, un totale di 120 milioni di persone ha potuto votare e provare a raggiungere il traguardo di una vita democratica.
Passando ai costi, le operazioni di mantenimento della pace, dal 1948 al 30 giugno 2009, sono costate complessivamente 61 miliardi di dollari. Il bilancio stanziato per il periodo dal 1° luglio 2009 al 30 giugno 2010 è risultato di 7,33 miliardi di dollari. Crescente è anche l’impegno in termini di vite umane. Nel 2009 sono stati 121 i morti nelle missioni di peacekeping, u4 nel 2010, di cui ben 96 vittime ad Haiti, il più alto numero di perdite subito dall’Onu in una missione (dal 1948 a oggi le vittime sono state 2.776).
Cresce poi la partecipazione femminile, con un aumento che, a fine 2008, è risultato superiore al 40 per cento. Nel 2007, in Liberia è stato inviato il primo contingente di pace formato da sole donne, costituito da forze di polizia addestrate in India. Con un divario, tuttavia, tutto da colmare con riferimento agli incarichi direttivi: solo una donna, infatti, è a capo di una missione di pace con il ruolo di Rappresentante speciale del Segretario generale.
Per questo il segretario dell’Onu, Ban Ki-Moon, ha lanciato una campagna per arrivare, entro il 2014, al 20% di donne tra le unità di polizia (oggi sono l’8,2%) e al lodo tra le forze militari (contro l’attuale 2,3%). Certo, gli insuccessi non sono mancati. Primo tra tutti il caso di Srebrenica, con la resa dei "caschi blu" olandesi a Mladic e la strage di oltre 8.ooo civili. E poi la pagina nera della Somalia e il genocidio in Rwanda, con la disfatta Onu raccontata dallo stesso comandante dei "caschi blu", il canadese Roméo Dallaire, nel suo libro «Shake Hands with the Devil»: un atto d’accusa contro l’inerzia e il burocratismo Onu dinannzi al massacro dei tutzi da parte degli hutu. Per finire con altri due casi africani: la settimana
scorsa il Consiglio di Sicurezza ha votato il ritiro della missione Minurcat da Ciad e Centrafrica. E la stesso potrebbe presto accadere alla missione Monuc in Congo, costosissima e da molti accusata di essere ormai più dannosa che utile.


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