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Medio Evo Corea

• da l'espresso del 4 giugno 2010

di Gigi Riva

 

Le urla del regime e le urla del silenzio. Sono le due facce, inconciliabili, della Corea del Nord che sfida il mondo come fosse una superpotenza mentre ancora nasconde i campi di concentramento e di tortura, la carestia, la fame della sua gente. I primi timidi segnali di apertura, l’inizio di un confronto con i fratelli separati del Sud che avevano suscitato speranze, tutto cancellato dalla crisi innestata dall’affondamento della corvetta Cheonant (26 marzo scorso). Una commissione d’inchiesta internazionale accusa Pyongyang di aver provocato la morte dei 46 marinai del Sud che erano a bordo, Seul chiede sanzioni al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e contemporaneamente vara esercitazioni congiunte con gli Stati Uniti. La risposta del "caro leader" Kim Jong-il è un’oceanica adunata di piazza, domenica scorsa, con 100 mila persone e il segretario del partito dei lavoratori (partito unico, naturalmente) Choc Yong-Rim che invita dal palco “a prepararsi a un attacco della Corea del Sud e del suo alleato americano”. Tensioni come al tempo della Guerra Fredda, con l’aggravante che adesso il Paese fa i test nucleari. I muscoli atomici sono l’esatto contraltare del corpo malato di uno Stato impietosamente descritto nell’ultimo suo rapporto, prima di esaurire questo giugno il suo riandato lungo sei anni, dal relatore speciale delle Nazioni Unite. il thailandese Vitit Muntarbhorn. Dalla sua premessa: «La natura totalitaria della base di potere ha creato un diffuso sentimento di "Stato di paura" o "Statocome una grande prigione" per la massa che non fa parte dell’élite... Pratiche per instillare paura tra la popolazione sono evidenti attraverso esecuzioni pubbliche, torture, punizioni collettive e maltrattamento di donne e bambini. Tali pratiche hanno dato origine a nomi struggenti come "tortura del piccione" e "tortura dell’aereo"». Cosa significhi, viene spiegato in una postilla: «Con la tortura del piccione i prigionieri sono ammanettati a una sbarra di ferro con le mani dietro la schiena in modo da non essere in grado né di sedersi né di stare in piedi. Così ogni muscolo del corpo diventa rigido». Aeroplano: «I prigionieri vengono picchiati mentre le loro mani e i loro piedi sono legati dietro il corpo e il corpo stesso è appeso». Sono "punizioni" che ben conoscono i 150 mila detenuti politici ammassati nei campi di Kaechon, Yodeok, Hwasong, Bukchang, Hoeryong, Chonjin. Tanti ne ha censiti la Commissione d’inchiesta dei crimini contro l’umanità, una ong sudcoreana che si propone di portare davanti a un tribunale internazionale Kim jong-il, il cui segretario generale Do Hee Yeon è stato nei giorni scorsi a Montecitorio per una conferenza, ospite dell’onorevole radicale Matteo Mecacci.
Assieme a lui, anche due persone fuggite dai campi di concentramento e, dopo lunghe peripezie,
arrivate in Italia. Una è una donna, Kim Hye Suk, 48 anni, di cui 28 vissuti da prigioniera. Grandi occhiali da sole per nascondere le lacrime, ha srotolato dei disegni che lei stessa ha fatto per raccontare la vita nel lager e una mappa dello stesso. Perché rimanga traccia, a futura memoria. Aveva 13 anni quando, con tutta la famiglia, fu portata al diciottesimo campo di detenzione di Bukchang. La colpa: un nonno
aveva lasciato il Paese durante la guerra di Corea e dunque tutti i discendenti erano sospetti. Il padre fu presto ammazzato, la madre morì di stenti e malattia. Questo videro i suoi occhi di adolescente: «Una media di 20-30 persone al giorno venivano giustiziate pubblicamente. La maggior parte non aveva commesso un vero e proprio reato. Avevano solo attraversato il fiume Daedong per andare al quattordicesimo campo per prendere del mais da mangiare. Venivano legate ad un albero poi usciva il capo della sicurezza e dava ordine che gli sparassero con sei pistole. Lo facevano per spargere terrore». Questo era invece il destino per chi credeva in qualche religione: «Dopo aver colpito in maniera violenta la testa del "criminale" la sua bocca veniva imbavagliata e la testa infilata in un cappio legato a due alberi». Nel campo Kim si sposa, nascono due figli che però scompaiono durante un’alluvione, mentre il marito muore per l’esplosione in una miniera: «Volevo suicidarmi col veleno, ma un vicino se n’è accorto e mi ha salvata». Nel 2005 riesce a fuggire in Cina dove lavora in un ristorante. Per fare un favore al proprietario torna in Corea del Nord dove viene di nuovo arrestata. Nel gennaio 2008 è di nuovo nel 18° campo:« Le condizioni erano addirittura peggiorate. Ho visto gente rubare la zuppa ai propri figli o venderli ai mercanti di carne di maiale in cambio di un po’ di grano». La seconda e felice fuga in Occidente, e siamo ai giorni nostri. Kim mostra il suo corpo, taglia forte: «Appena uscita ho mangiato talmente tanto che il mio corpo è molto cambiato, e così è rimasto». Dei figli portati via dall’alluvione, nessuna notizia e allora ha scritto loro una lettera: «Scusatemi. La mamma non è riuscita a trovarvi e adesso non ha nessuna possibilità di tornare indietro. Nel Paese delle torture non è mai riuscita a darvi un pasto caldo, né a farvi mangiare della carne Tocca a Kim Kwang Il, un uomo alto e allampanato. II suo Calvario iniziò il 3 aprile 1999 quando fu arrestato per spionaggio. Era stato in Cina, aveva avuto contatto con alcuni coreani e qualcuno gli aveva dato una Bibbia. Per cominciare lo colpiscono con un bastone di legno dello spessore di cinque centimetri e gli spaccano tutti i denti. Mostra una lesione che ancora ha sulla nuca, effetto di quelle prime botte. La "tortura del piccione" è per lui prassi quotidiana. Per sopravvivere decide di confessare un reato che non ha commesso e viene mandato nel campo di concentramento di Yodeok. La sua giornata: «Sveglia alle 5 del mattino, colazione a base di grano e fagioli gialli. Dalle 6 alle 12 lavoro. Pausa. Dalle 13 alle 20 ancora lavoro. Dopo la pausa per la cena, lezioni di politica incentrate sull’adorazione di Kim Il-sung (il padre) e di Kini jong-il (l’attuale leader). I contenuti dovevano essere imparati a memoria. Si veniva interrogati. Se non si rispondeva a tono, ti impedivano di dormire». Pensava di essere stato fortunato perché assegnato al settore agricolo: «Almeno non morirò di fame, pensavo. Era un’illusione. Siccome qualcuno si cibava di nascosto con i semi, gli ufficiali spruzzavano i pesticidi e molti morivano a causa del veleno». La regola prevedeva che ciascun detenuto dovesse raccogliere la quantità di grano equivalente a mille metri quadrati. Se non ci riusciva, veniva ridotta la razione del rancio. In questo modo molti sono morti di fame». I gerarchi si divertivano con questo gioco: «D’inverno si scendeva dalle montagne trascinando per quattro chilometri la legna
degli alberi legata con le corde. Una volta al porto, chi aveva trasportato più legna aveva come premio un impasto di grano. I detenuti si spintonavano a vicenda per avere quel premio e nel farlo molti cadevano nel precipizio. Gli ufficiali ridevano divertiti.,. Anche Kim Kwang II è riuscito a fuggire e a fa ascoltare oggi le sue urla che sono riuscite a uscire dal silenzio. Solo che spesso, ripensando a quegli anni, «non riesco a prendere sonno e allora devo aiutarmi con l’alcol».
Per soffrire la fame, in Corea del Nord, basta essere un cittadino comune. Il World Food Programme delle Nazioni Unite calcola che il 40 per cento della popolazione (in totale sono 24 milioni di abitanti) rischia di morire di fame. Quanto alla salute, stando al rapporto Muntarbhorn «vi è stato un generale declino, gli ospedali sono a corto di medicinali e a causa dell’influenza A (H1N1 ) alle famiglie è stato vietato di visitare i detenuti per paura di diffondere le malattie». Le scuole sono a corto di libri di testo e manca negli edifici l’energia elettrica. Inoltre: l’uso dei cellulari è consentito solo nella capitale, le radio sono presintonizzate sui programmi del governo, la lettura di libri provenienti dalla Corea del Sud è considerata un atto di spionaggio.
Kim jong-il, il "caro leader", sta preparando la successione al rampollo Jongun, il terzo di una dinastia che ha ridotto la Corea del Nord in questo stato. E che però spaventa il mondo a causa dell’atomica. Prima o poi tutte le dittature sono destinate a cadere. Quando succederà, il mondo si troverà davanti un luogo dove le lancette della storia si sono fermate. E costerà una gran fatica reimpostarle sull’ora del Ventunesimo secolo.


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