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"Yes, we Cohen". Chi è il sindaco d'Olanda che guida la sinistra

• da Il Foglio del 4 giugno 2010

 

"Yes, we Cohen!". Lo slogan coniato da un ammiratore intraprendente - che sul suo sito già offre magliette e gadget con questo testo - non è piaciuto al diretto interessato, che ha prontamente annunciato che nella campagna elettorale non lo userà mai. All’ex-sindaco di Amsterdam, che dal 12 marzo è alla guida dei partito laburista PvdA, non piacciono le esuberanze. Job Cohen è un uomo schivo, chiuso e distante, molto più amministratore che politico. Cohen è l’uomo del compromesso, una parola centrale nel suo pensiero e secondo lui l’essenza vera della politica olandese. "L’Olanda è da sempre un paese di minoranze nel senso che nessun gruppo è così grande da poter imporre la sua volontà agli altri. E il numero delle minoranze è in crescita. Il che significa che bisogna sempre arrivare a dei compromessi", riassunse a febbraio il suo pensiero in una relazione su "V essenza della democrazia". Questa convinzione fa di Cohen l’antitesi dell’altro coming man della politica olandese, l’irrequieto antislamico Geert Wilders, che non esita di chiamare il suo avversario un "debole" e un "disastro per il paese". Con Cohen i socialdemocratici sperano di aver trovato l’asse vincente. Subito dopo la sua investitura il partito schizzò in alto nei sondaggi: da 15 a 27 seggi (su un totale di 150), poco più del Pvv di Wilders e dei democristiani (Cda) del premier uscente Balkenende. Più della metà dei rispondenti espresse la sua preferenza per Cohen come premier. Ma dopo l’euforia sorgono anche delle domande. Sarà Cohen l’uomo che porterà il paese fuori dalla crisi economica e dal conflitto etnico che da anni sta minacciando la pacifica convivenza, soprattutto nelle grandi cìttà? E sarà in grado di tener testa a politici navigati come Wilders e Balkenende. Infatti, fino a ora il professor (di diritto) Cohen non ha mai dovuto affrontare una campagna elettorale. E’ stato chiamato a fare il sottosegretario (nel 1993-4 e 1998-2000, è stato nominato sindaco con decreto reale ed è stato membro del Senato (1995), non grazie a un voto popolare, ma eletto dai membri dei consigli provinciali. C’è stato un forte dibattito dopo che la sinistra olandese a lungo al potere ha scelto come leader questo grigio professore universitario che ha governato a lungo Amsterdam, cinquantaseienne alfiere della tolleranza e dell’integrazione forzata. Seri dubbi sulla leadership di Cohen esprimono due giornalisti che lo hanno seguito per due anni, in un libro che - con un colpo di fortuna editoriale - è uscito quasi subito dopo la sua entrata nell’arena politica nazionale. Ne "Il sindaco dell’Olanda", Job Cohen viene fuori, si, come un uomo disposto ad ascoltare tutte le voci prima di prendere una decisione, ma anche come un temporeggiatore che esita a prendere qualsiasi decisione e che evita scelte chiare. Così, nei giorni caotici dopo l’uccisione del regista Theo van Gogh - che in un suo column aveva descritto Cohen come "un ebreo in servizio della quinta colonna musulmana"- per mano di un fanatico musulmano, Cohen cercò in tutti i modi di mantenere i legami con la comunità musulmana, anche con le frazioni più radicali. Il vero discorso politico lo lasciò fare all’assessore di origine marocchina Ahmed Aboutaleb (l’attuale sindaco di Rotterdam), che in una moschea di Amsterdam ammonì "tutti coloro che non intendano partecipare in pieno alla società olandese, di prendere le valigie e andarsene".
Una teoria cara al sindaco, l’uso della religione, o le religioni, come collante sociale, in pratica si è rivelato un fiasco, li progetto di sovvenzionare la costruzione di una moschea "liberale" è finito nel nulla da quando l’organizzazione islamica interlocutrice cadde in mano ai radicali. E la creazione di un centro-dibattito musulmano è sprofondata in una lotta senza quartiere tra diversi gruppi etnici che cercavano di acchiappare per sé i soldi del comune.


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