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Donne pensionate a 65 anni: perchè l'Ue sgrida l'Italia?

• da La Gazzetta dello Sport del 4 giugno 2010

di Giorgio Dell'Arti

IL FATTO DEL GORNO - 5 DOMANDE E 5 RISPOSTE

L’Unione europea ci ha ammonito nuovamente, e a quanto pare con una certa durezza, per la storia delle dipendenti statali che non vanno in pensione con le stesse modalità degli uomini. Si ventila alla lontana una procedura d’infrazione, che stando a quello che si sa potrebbe essere piuttosto costosa.

1. Mi ricordo qualcosa, cioè mi ricordo che ne abbiamo già parlato e... Ma non avevamo messo tutto a posto?
Allora, il 13 novembre del 2008 la Corte europea ha condannato l’Italia perché nella pubblica amministrazione tratta diversamente le pensioni degli uomini e quelle delle donne. La Corte non specificava chi fosse il discriminato della situazione, se i maschi o le femmine. Però non ammetteva che vi fossero criteri diversi in base al sesso e ci invitava a uniformarli. Le donne andavano in pensione a 6o armi, gli uomini a 65. In teoria, per la Ue, si sarebbe potuto anticipare anche il pensionamento dei maschi. Naturalmente le casse degli istituti previdenziali sarebbero saltate per aria. Perdo ancora un istante per ricordarle il modo con cui si schierarono i politici nell’occasione: sia la destra che la sinistra si spaccarono in due, sostenendo che era una misura in difesa delle donne farle lavorare fino a 65 anni (gli uni, tra cui Emma Bonino) e, dall’altra parte, dichiarando che non consentire il ritiro a 6o anni era una turpitudine (su questa posizione si trovavano soprattutto i sindacati). Si ricordò allora che questo trattamento di maggior favore verso le donne era anche la conseguenza delle discriminazioni patite dall’occupazione femminile. Solo il 16 per cento delle donne lavora, contro il 70 per cento degli uomini. la retribuzione femminile media (parliamo di lavoratori dipendenti) è di 15 mila euro l’anno, quella maschile di 21 mila. Al momento della pensione, gli uomini prendono il 64 per cento dell’ultimo stipendio, le donne appena il 46. La pensione media di una donna è di 520 euro al mese, quella di un uomo raggiunge i 98o.

2. Ribadisco: non avevamo messo la cosa a posto con l’Europa?
Sì, ma molto gradualmente. L’anno scorso il sistema venne riformato in questo modo: a partire da quest’anno le statali sarebbero andate in pensione non più a 6o anni, ma a 61. Si sarebbe poi aggiunto un anno a ogni biennio: l’età pensionabile delle dipendenti pubbliche era stata così portata a 62 anni nel 2012, 63 nel 2014, 64 nel 2016 e finalmente 65 nel 2018. La parità desiderata dalla Ue sarebbe così stata raggiunta tra otto anni. Adesso l’Unione europea ci dice che questo sistema è troppo lento. Bisogna, secondo Bruxelles, che le donne vadano in pensione a 65 anni a partire - al massimo - dal 2012.

3. I nostri governanti che dicono?
Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ha comunicato ai giornalisti che parlerà Lunedì prossimo con la commissaria Viviane Reding. «Cercherò di agire al meglio per una soluzione che sia definitiva. Bisognerà discutere il punto relativo all’anno 2012 perché è giusto dare alle lavoratrici il tempo di organizzare il loro percorso di vita. Si tratta di capire quanto sia cogente la richiesta europea e quanto minacci di tradursi
in un’infrazione». Il ministro, che non è mai stato un entusiasta dell’idea di mandare le lavoratrici in pensione più tardi, ha ricordato che l’altra volta il sistema di arrivare a un’equiparazione graduale era stato trattato con Bruxelles ed era parso allora che i commissari europei fossero persuasi della bontà della soluzione italiana.

4. Questa infrazione in che consiste?
Se fossimo condannati si tratterebbe di pagare una multa oscillante tra gli 11.904 e i 714.240 euro al giorno. Se ci atteniamo alla media tra queste due cifre, viene fuori una cifra molto consistente.

5. M’era parso che ci fosse qualcosa nella manovra presentata dal ministro dell’Economia Tremonti.
Sì, nelle prime versioni di quella benedetta manovra era stato previsto un anticipo, invece che andare a regime nel 2018, la parità completa tra uomo e donna sarebbe stata raggiunta in anticipo nel 2016. Il 25 la norma era ancora nella bozza del decreto ed era stata valutata 2,5 miliardi l’anno, cioè cinque miliardi. Anticiparla al 2012 significherebbe a questo punto realizzare risparmi per 15 miliardi. Ho il dubbio che
Tremonti sapesse tutto prima. Infatti questo punto è sparito dal decreto, lo stesso Sacconi, intervenendo in televisione a Porta a Porta, annunciò che «sul pubblico impiego non ci sono novità per quanto riguarda l’omologazione tra donne e uomini sull’età dei 65 anni». L’articolo della manovra era stato cassato, ma il decreto è adesso in Parlamento e basterà un emendamento per reintrodurre il concetto, come si dice, al volo. Ieri Brunetta, il ministro per la Pubblica amministrazione l’Innovazione ha fatto capire che si potrebbe seguire proprio questa strada.


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