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Pnesioni, ultimatum Ue all'Italia

• da la Repubblica del 4 giugno 2010

di Andrea Bonanni

 

L’Italia deve alzare subito, e comunque molto prima del 2018, l’età pensionabile delle donne impiegate nella pubblica amministrazione a 65 anni, come per gli uomini. L’ingiunzione arriva dalla Commissione europea, che ieri ha inviato una nuova lettera di messa in mora contro il governo italiano per il mancato rispetto di una sentenza della Corte di Lussemburgo. Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, tenterà una mediazione incontrando lunedi il commissario alla Giustizia, Viviane Reding, «perché è giusto dare alle donne il tempo di organizzare il proprio percorso di vita». Secondo lo stesso ministro, la Commissione vuole che l’innalzamento a 65 anni scatti già nel 2012, quindi sei anni prima del termine previsto dal governo italiano. Si cercherà un compromesso.
Nel novembre 2008 la magistratura europea aveva dato ragione ad un ricorso della Commissione e condannato l’Italia per la discriminazione nell’età pensionabile applicata a uomini e donne nella Pubblica amministrazione. Una sperequazione che, secondo la Corte di Giustizia, viola il principio della parità retributiva.
La Commissione aveva aperto su questo punto una procedura contro l’Italia già nel 2005. Dopo la sentenza il governo, con un decreto del 2009, aveva previsto di portare anche per le donne l’età della pensione a 65 anni, ma aveva stabilito un meccanismo graduale che avrebbe di fatto equiparato il trattamento tra i due sessi solo nel 2018.
Ieri la Commissione ha fatto sapere che considera inaccettabile il periodo transitorio, in quanto di fatto prolunga lo stato di discriminazione. «Ci aspettiamo che l’Italia ottemperi pienamente, e immediatamente, alla sentenza della Corte, che aveva già precisato come non fosse consentito alcun periodo transitorio», ha detto il portavoce della Reding.
In base alla procedura avviata, l’Italia ha ora due mesi per rispondere. Se la risposta non sarà ritenuta adeguata e la norma non verrà corretta, la Commissione potrà fare nuovamente ricorso alla Corte, comminando una multa per ogni giorno di non rispetto della sentenza.
Le reazioni del governo italiano alla decisione di Bruxelles sono apparse, in un primo momento, disomogenee. Il ministro per le politiche comunitarie, Andrea Ronchi, è stato critico nei confronti
della Commissione: «È necessario che Bruxelles comprenda la delicatezza di questa materia e rispetti il criterio di gradualità scelto dal governo, un criterio conforme alle richieste avanzate dalle istituzioni europee». Ma il ministro degli Interni, Maroni, sembra più favorevole a venire a patti: «Siccome è una ingiunzione dell’Unione europea, mi pare difficile non darvi corso, se no c’è una procedura di infrazione», ha spiegato ai giornalisti. Il ministro responsabile per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, ha precisato che «il Governo risponderà in maniera collegiale», ma ha aggiunto: «si sapeva già che la nostra risposta non era stata considerata sufficiente da Bruxelles». Sul fronte dell’opposizione sia Emma Bonino, sia Rosi Bindi, sia i responsabili del Pd per il lavoro e gli affari europei, hanno espresso soddisfazione per la decisione. della Commissione che, hanno dichiarato Sandro Gozi e Cesare Damiano, «è una sonora bocciatura per il governo italiano».


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