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Chissà cosa hanno pensato i detenuti del carcere di Sulmona quando ieri mattina Guido Bertolaso, davanti a loro, ha pronunciato questa frase : "Tutti viviamo la nostra via crucis. Anch’io di questi tempi ho la mia". Un accostamento (non un paragone, come ha prontamente fatto sapere nel pomeriggio) un po’ imbarazzante. Forse il capo della Protezione civile non sa che nelle carceri italiane il numero delle persone recluse sfiora le 68 mila unità , una cifra record nella storia della Repubblica. Che celle destinate a tre persone sono occupate da una media di sei o sette uomini. Così come forse non sa che negli istituti penitenziari italiani si muore, quasi ogni giorno. Dopo i dati impressionanti dello scorso anno, 72 suicidi su un totale di 175 morti, il 2010 procede nella peggiore delle direzioni: non siamo ancora al giro di boa e i decessi sono già 83, i detenuti che si sono tolti la vita 29, 23 dei quali impiccati. L’ultimo che non ce l’ha fatta, Alessandro Lamagna, aveva appena 34 anni. L’Osservatorio permanente sulle morti in carcere ha spiegato che, se la stessa frequenza dei decessi in carcere si verificasse nell’intera popolazione italiana, assisteremmo ogni anno alla scomparsa di tanti under 40 quanti ne abitano in una città delle dimensioni di Firenze. Per non parlare della salute: una ricerca della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria ha evidenziato come soltanto il 20 per cento dei reclusi sia in buone condizioni. L’altra notte nel penitenziario di Marassi, a Genova, si è sfiorata la strage: i reclusi della prima sezione hanno dato vita a una protesta violentissima incendiando materassi e suppellettili e, sette di loro, barricandosi in una cella. Solo l’intervento degli agenti, come denunciano i sindacati di polizia penitenziaria, ha riportato la calma. In infermeria sono finiti proprio due poliziotti. I detenuti protestavano per il sovraffollamento e per la mancata somministrazione di tranquillanti e sonniferi, perché da due mesi la cooperativa incaricata del servizio interno non pagale infermiere. Crisi nelle crisi.
Le denunce delle associazioni, così come quelle dei sindacati, ormai non si contano più. Qualcuno a gennaio si era illuso che si potesse intravvedere uno spiraglio, quando il ministro della Giustizia Alfano ha varato il suo fantomatico "piano carceri": stato d’emergenza per tutto il 2010, costruzione di 22 nuovi
istituti e 46 nuovi padiglioni più una ristrutturazione (questi ultimi proprio entro dicembre), assunzione di duemila agenti. Il tutto con i superpoteri di commissario straordinario affidati all’attuale capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria Franco lonta. Peccato che il governo, ancora una volta, non abbia fatto bene i conti. Non ci sono i soldi necessari alle nuove realizzazioni: servirebbero un miliardo e duecento milioni di euro, ce ne sono appena duecento milioni. Quindi passano i mesi, e le carceri continuano a scoppiare. "Ho sempre pensato che il piano rimanesse nei sogni di Alfano - spiega la radicale Irene Testa, segretaria dell’associazione Detenuto ignoto perché in così poco tempo sarebbe stato impossibile da realizzare. Tanto è vero che dopo la relazione fatta al Parlamento non se n’è più parlato". Una decina di giorni fa un detenuto è morto precipitando dal terzo piano del letto a castello: "Non è una novità prosegue Testa - i direttori di carcere hanno spesso a che fare con gente che si frattura le braccia cadendo nello stesso modo. Se continuiamo così, servirà il quarto piano".
Qualunque proposta avanzata, che vada nella direzione di cominciare a svuotare gli istituti in attesa di riforme strutturali, non viene accolta. Persino il ddl cosiddetto "svuotacarceri", che sarebbe servito a far scontare a casa l’ultimo annodi pena, è stato modificato in corsa sotto pressione della Lega. Dovrà essere il magistrato di sorveglianza a valutare caso per caso, tenendo in considerazione anche l’idoneità del domicilio. "Sembra che il problema non interessi a nessuno - racconta ancora Testa -. Lo scorso anno noi radicali abbiamo presentato alla Camera un ddl per l’istituzione dell’anagrafe digitale pubblica degli istituti di pena: ogni carcere avrebbe avuto un sito Internet su cui pubblicare il numero dei detenuti, quello dei suicidi, le consulenze e gli appalti. Un provvedimento di trasparenza che naturalmente è stato bloccato. Anzi, sempre lo scorso anno è stata emanata una circolare in cui si chiedeva ai direttori di non realizzare siti". "Gestire il pianeta carceri costa allo Stato circa otto miliardi di curo l’anno - conclude Irene Testa - e di soldi sprecati ce ne sono parecchi: è stato fatto un contratto con Telecom perla realizzazione di 200 braccialetti elettronici. Se ne usano sì e no una decina. E la beffa è che lo Stato continuerà a pagare fino al 2011 sei milioni all’anno per il nolo di braccialetti inutilizzati".