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Il biennio nero in cui la mafia (at)tentò lo Stato

• da Il Riformista del 9 giugno 2010

di Marianna Bartoccelli

 

E’ una lunga storia che si attorciglia da almeno vent’anni. Una lunga ricerca nei confronti dei cosiddetti mandanti occulti delle stragi del ‘92 e del ‘93. Il suo inizio, in verità, è nell’89, con la tentata strage dell’Addaura contro i giudici Giovanni Falcone e Carla Del Ponte. Un fiume carsico che di tanto in tanto irrompe sulla stampa - sarebbe interessante scoprirne il vero motivo, che sia in collegamento ogni volta, qualunque sia il governo, con le riforme sulla giustizia? - sulla quale si fanno, anzi rifanno, i nomi di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, o genericamente di Forza Italia. Come se da decenni fossimo governati dalla grande mafia, prima quella di Giulio Andreotti e poi quella di Silvio Berlusconi. La giustizia, ancora una volta, prende il posto della politica.
Basterebbe guardare le date (tante) delle vane testimonianze e dei vari processi per tentare di mettere a posto le dichiarazioni e cercare di riconoscere e punire i colpevoli. Invece le inchieste si trascinano, in attesa delle dichiarazioni di un nuovo pentito, vedi Pietro Scavuzzo, e tendono tutte a diventare come i processi di un tempo: come quello sulla morte di Roberto Calvi, il banchiere di Dio degli anni 60. Venne trovato morto sotto il ponte dei Frati Neri sul Tamigi il 18 ottobre 1982 e il processo si è concluso dopo 25 anni. Con l’assoluzione dei cinque imputati e l’affermazione che Calvi è stato comunque ucciso. O quello sulla scomparsa (il corpo non è mai stato trovato) di Mauro De Mauro, giornalista de L’Ora, quotidiano storico palermitano negli anni 60. De Mauro scomparve il 16 settembre 1970 e il processo per il suo assassinio è iniziato dopo 36 anni e procede tra le testimonianze dei pochi testi ancora in vita e le
dichiarazioni di alcuni pentiti. Unico imputato il boss Totò Riina. Il terzo processo è quello sulla strage di via Lazio. Dopo 38 anni la Procura di Palermo ha dato il via a un nuovo procedimento, imputando di quella strage Rima e Provenzano. Erano i tempi del sacco di Palermo. Il primo grado si è concluso da poco. Nelle aule del tribunale palermitano sembra riemergere la storia, ormai in mano ad alcuni pm e ad alcuni giornalisti. I vari politici sono lontani dalle evoluzioni.
Un esempio? A settembre 1996 (prima che iniziasse il processo a Dell’Utri) un grosso personaggio della mafia - che poi diventerà pentito acclarato, all’inizio assistito da Luigi Ligotti, oggi approdato all’idv (sottosegretario alla giustizia ai tempi di Prodi) -, Giovanni Brusca, ha negato ai vari magistrati che lo interrogavano che ci fossero state direttive di Cosa Nostra per le elezioni del 1994. Come si legge in un articolo sul Giornale del 18 novembre 2003, la carta di Brusca venne fuori per caso (l’interrogatorio era finito all’interno di un fascicolo che riguarda un processo di Gela)e su insistenza degli avvocati difensori. Il fratello dell’altro boss, Enzo, afferma: «Si decise di appoggiare Forza Italia e in particolare i partiti del
Polo, al solo scopo di andare contro la sinistra e non già per particolari legami intercorrenti con appartenenti a tale movimento politico in virtù di specifici incontri». Le parole di Brusca contraddicono
quelle di un altro noto pentito, Antonino Giuffrè, vicinissimo al boss Provenzano, e negli anni successivi alcune affermazioni di Gaspare Spatuzza, altro pentito, e le sue parole vengono ascoltate dai pm di Palermo (Roberto Spampina to, Francesco lo Voi e Alfonso Sabella), da quelli di Caltanissetta (Paolo Giordano, Luca Tescaroli e Carmelo Petralia) e poi dal pm Cabriele Chelazzi di Firenze, prima che morisse. Nelle 23 pagine alla fine acquisite nel processo Dell’Utri, Giovanni Brusca afferma: «Riina non è compartecipe nelle proprietà di emittenti perché nutriva interessi esclusivamente sui terreni». E dice che
Salvo Lima venne ucciso perché nessuno riuscì a modificare la sentenza della Cassazione sul maxiprocesso. L’omicido Lima, sostiene Brusca,nel 1996, era stato deciso per «chiudere il conto» e per indebolire Andreotti e impedirgli di prendere altre iniziative che «danneggiavano Cosa Nostra».
Insomma quegli anni, quelle stragi, sono state una mattanza che molti, troppi, hanno cercato di usare per i propri motivi, invece di combattere ed eliminare la mafia. Questo significa che non c’è stato chi tirava le fila, ma (semplicemente!?) chi si serviva di queste stragi per accrescere il proprio potere, politico o imprenditoriale che sia. Vediamo le date elettorali. IL 5 aprile 1992 ci furono le politiche nazionali (ricordate la famosa foto di Falcone e Borsellino? Venne scattata mentre insieme a Palermo partecipavano, unica volta, alla presentazione dell’amico pm Beppe Ayala nel Partito repubblicano, poi eletto): la Dc (-4,6%) scende al 29,7, il Pds è al 16,1 %, il Psi al 13,6 (in calo), mentre esplode la Lega con l’8,7% (25 senatori e 55 deputati), e la Rete che manda a Roma 12 deputati. La lista Pannella ne conquista 7. La DC per la prima volta non supera il 30% e Pci e Psi hanno quasi gli stessi risultati. Queste elezioni furono le ultime fatte con il sistema proporzionale e le preferenze. Le successive furono quelle del 1994 dove si candida Silvio Berlusconi.
IL 6 giugno ‘93 ci sono le elezioni amministrative che servono a eleggere il sindaco di molte città, tra cui Roma e Palermo. Berlusconi si schiera con Fini contro Rutelli, ma vince Rutelli. Orlando viene eletto con il 75% dei voti contro Elda Pucci. Nel ‘97 si candiderà contro Gianfranco Miccichè e vince di nuovo. Al ballottaggio del 20 giugno, Marco Formentin della Lega diventa sindaco a Milano contro Nando Dalla Chiesa, Enzo Bianco a Catania contro Claudio Fava, Valentino Castellani a Torino. La Lega conquista 15 sindaci, il Pds 72 comuni su 145. La De solo 7 sindaci su 61 ballottaggi. L’inflazione è al 4,2% e la sinistra avanza.
Questo il quadro che si presenta a Silvio Berlusconi, in crisi con le sue imprese dopo la prima metà del ‘93. Bisogna ricordare che sino a pochi mesi dalla sua discesa in campo (e questo era il pensiero di Gianni Letta e di Fedele Confalonieri) Berlusconi tenta di convincere sia Mario Segni che Mino Martinazzoli a candidarsi. Avrebbe ceduto loro le strutture di Forza Italia che Dell’Utri almeno da metà ‘93 aveva cominciato a costituire. Le vittorie avvengono con l’intervento, a spizzichi e bocconi, di personaggi legati ai servizi, che ormai vengono chiamati "deviati" e che in molte (troppe?) situazioni si mettono in mezzo e,
al di là di quello che fanno nelle varie vicende, frenano le inchieste, a volte con l’aiuto di qualche politico. Spesso in modo diretto, ma anche realizzando noRMe e fatti che aiutano a nascondere. Ed è così che si parla e riparla di "entità", come fosse un teatrino dei pupi in cui qualcuno, il burattinaio, tiene i fili.
«Mi sento come un bambino che dice che il re è nudo. Mi sembra di dire cose talmente ovvie che ormai dovrebbero essere radicate nella coscienza civile e nella conoscenza di tutti, e mi meravigliano le reazioni». Così il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, torna a parlare delle sue dichiarazioni, rilasciate nei giorni scorsi, a proposito di mafia e politica e del periodo delle stragi. «Non mi aspettavo di provocare tanto clamore - ha aggiunto Grasso, a margine di un convegno sulla giustizia alla Corte d’appello di Roma - forse siamo in un momento di fibrillazione e si cerca di strumentalizzare qualsiasi cosa». «Le stragi del ‘93 a Firenze e Milano, gli attentati alle chiese a Roma - ha ripetuto Grasso (ormai rassicurato della nomina alla Dna da parte del Consiglio superiore della magistratura) - avrebbero
dato la possibilità a una entità esterna di proporsi come soluzione per poter riprendere in pugno l’intera situazione economica, politica, sociale, che veniva dalle macerie di Tangentopoli». Questo lo ha detto alcuni giorni fa suscitando anche la reazioni di Marco Travaglio, che si chiede sostanzialmente "perché ora?". Ma non è così, come afferma lo stesso Grasso, superando la sua nota prudenza. Dodici anni fa lo aveva detto e scritto insieme con i pm di Firenze Fleury, Chelazzi, Nicolosi e Crini, con i quali è tra i firmatari della richiesta di archiviazione nei confronti dei mandanti occulti delle stragi del ‘93 "autore 1" e "autore 2" (come avverrà a Caltanissetta nel 2001 contro "Alfa" e "Beta", sempre Dell’Utri e Berlusconi). Con i magistrati di Firenze aveva sostenuto che quelle indagini, arenatesi nel novembre del 1998 con il decreto del gip Giuseppe Soresina, oltre a spiegare il percorso investigativo e logico-giuridico che li aveva condotti a chiedere l’archiviazione, rivelavano «molteplici elementi acquisiti univoci nella dimostrazione che tra Cosa Nostra e il soggetto politico imprenditoriale intervennero, prima ed in vista delle consultazioni elettorali del marzo 1994, contatti riconducibili allo schema contrattuale, appoggio elettorale-interventi sulla normativa di contrasto della criminalità organizzata».
Il rapporto di scambio - e cioè una sorta di accordo - c’è stato, anche se al semplice livello dipromesse e intese reciproche. Grasso lo aveva sostenuto già nel 1998, cinque anni dopo le stragi del ‘93. Ancora una volta comunque le sue dichiarazioni fanno pensare al solito bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto.
E giorni fa l’ex procuratore nazionale Piero Vigna aggiunse, ripetendo cose già affermate in varie occasioni: «Mi chiedo se davvero Cosa Nostra pensasse che proseguendo nella stagione stragista avrebbe ottenuto quanto chiedeva. A distanza di tanti anni continuo a non credere che quello che è accaduto fuori dalla Sicilia sia frutto di una pensata di Cosa Nostra». Vigna ripete la sua certezza: «Cosa Nostra non si è mossa da sola. Se guardo ai risultati di questa offensiva, devo constatare che sul piano politico vi è stata una tenuta delle istituzioni. Nessuna richiesta avanzata dalla mafia è stata esaudita. Il 41 bis e le misure di prevenzione oggi sono provvedimenti molto più rigidi di prima». Allora dobbiamo guardare ai "deviati". Quello è un periodo di "deviazione". «I11993 - spiega Vigna è anche l’anno dello scandalo dei fondi neri del Sisde, del tentato golpe di Saxa Rubra, dell’esplosivo sul rapido Siracusa Torino piazzato da un funzionario dei Servizi di Genova, di un ordigno inerte in via dei Sabini a Roma, del black-out a Palazzo
Chigi di cui parla il presidente Ciampi». «Insomma - conclude Vigna - c’erano pezzi dei Servizi che ragionavano ancora come se il Muro di Berlino non fosse crollato. Mani Pulite aveva demolito la Prima Repubblica e qualcuno aveva interesse che le richieste di Cosa Nostra fossero accolte per dare peso a una organizzazione mafiosa che iniziava a globalizzarsi. Che era ricca economicamente, forte. In grado di consentire relazioni anche internazionali...».
Mentre quindi le indagini ridisegnano una connection eversiva di larga scala per quanto riguarda le stragi del ‘92 e il mancato eccidio dell’Addaura del 21 giugno 1989 contro Giovanni Falcone, il procuratore Grasso ha coinvolto gli equilibri dell’intera Seconda Repubblica, ripetendo quanto affermato nel 1998: «Certamente Cosa Nostra - ha ribadito - attraverso questo programma di azioni criminali, ha inteso agevolare l’avvento di nuove realtà politiche che potessero poi esaudire le sue richieste». «Dietro le stragi - secondo Grasso - c’era anche un progetto indipendentista». Ripete Grasso cose note, e chi segue le storie di mafia e politica non può dimenticare che dopo le amministrative del ‘93, le politiche del 94 sembravano dirette a far vincere la sinistra. Odiata proprio da Berlusconi.
A Grasso fa eco l’ex presidente Ciampi che parla dell’oscuramento notturno quando scoppiò la bomba al Velabro. L’ex Capo dello Stato è ritornato con la memoria alla notte del 27 luglio 1993, quando due automobili imbottite di esplosivo danneggiarono le facciate delle chiese di San Giovanni in Laterano e di San Giorgio al Velabro a Roma: «Le comunicazioni con Palazzo Chigi furono misteriosamente interrotte - ha ricordato Ciampi - Resta un velo di mistero che è giunto il momento di squarciare, una volta per tutte. Parlai con Scalfaro al Quirinale e gli dissi "Ora dobbiamo reagire"». Dichiarazioni fatte anche allora e alcune scritte negli atti. Ma è successo poco e per tanti, troppi anni, le istituzioni, come Ciampi, hanno sostanzialmente taciuto, pur assistendo a Tangentopoli, ai "suicidi" (le virgolette non sono causali) di Gabriele Cagliari e subito dopo di Raul Gardini, ai processi Andreotti, Dell’Utri, Mannino e alle accuse a ripetizione contro Silvio Berlusconi, sempre chiuse, anche se spesso in modo ambiguo. Logica diversa quella dei procedimenti giudiziari, ma le affermazioni della politica, e non solo dell’opposizione, avrebbero dovuto avere molto più spazio in questi diciotto anni. Non è stato così, e viene spontaneo chiedersi se è stata incapacità o volontà.
C’è da rilevare e da contestare la dichiarazione di Walter Veltroni che, a giudicare da quello che scrivono i giornali, raccoglie l’invito a fare - ribadiamo, oggi - una commissione parlamentare ad hoc sulle stragi del ‘92 e ‘93 (che fine hanno fatto quelle volute da Vigna? Chissà se la sinistra lo sa?). Veltroni chiede perché in Italia, dopo Portella della Ginestra, ritorna la stagione delle stragi. Evidentemente bypassando tutte le altre stragi (i carabinieri di Ciaculli, da cui è nata la commissione Antimafia, o la strage Chinnici ad esempio) e i "suicidi" dovuti a Tangentopoli negli stessi anni. Sembra che Veltroni voglia diminuire il potere di Cosa Nostra, che invece in quegli anni cerca di reagire disperatamente al maxi-processo che aveva cominciato a eliminare buona parte dei capi e invece di finire come sempre, cioè facendo uscire
molti boss, li aveva sempre di più tenuti in carcere sino ad arrivare al 41 bis, che non è mai stato modificato anche dall’attuale governo. Anzi. Luciano Violante è certamente migliore di Veltroni, almeno sa di che cosa si doveva parlare. Tanto è vero che nel corso di una intervista al Foglio l’ex capo dell’Antimafia (e per anni considerato il padre della politica giustizialista nei confronti della mafia) afferma (1 ° giugno 2010) che «bisogna capire senza rimestare», che più che una commissione specifica tocca all’Antimafia mettere ordine, e che «Forza Italia si afferma come un movimento che vince al Nord con la Lega e a Sud con Fini e l’Msi». E aggiunge che «nel ‘93 era proprio difficile capire chi sarebbe andato al potere». Insomma le dichiarazioni di Grasso e Ciampi e Vigna non portano elementi nuovi, anche se la stampa, soprattutto, quella antigovernativa dà loro molto spazio.
Diverse le dichiarazioni e i racconti di Spatuzza e di Massimo Ciancimino, anche se appare che nessuno dei due abbia modificato la situazione del processo di appello a Dell’Utri, in cui rimane in piedi l’accusa principale dei pm Antonio Ingroia in primo grado e di Nino Gatto in secondo, e per il quale la sentenza è attesa per metà giugno. L’accusa è di concorso in associazione mafiosa.La valutazione circa le entità esterne però, ed è bene ricordarlo ancora una volta, non viene solo dalla voce interna di Cosa Nostra, ma è stata ampiamente accolta anche dai giudici di Firenze che nella sentenza di primo grado perle stragi del ‘93 scrivono chiaramente «di una strategia attuata per finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine
costituzionale». Anche il pm Luca Tescaroli, che ha sostenuto ‘accusa nei processi per il fallito attentato all’Addaura prima e la strage di Capaci poi (oggi pm a Roma e non di storie di mafia) non ha avuto alcun dubbio a collocare i due fatti delittuosi «in un progetto terroristico eversivo». Ma il primo in assoluto ad aver individuato questo meccanismo è stato il giudice Giovanni Falcone quando dopo il fallito attentato all’Addaura spiegò chiaramente: «Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa Nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi». O ad assassinare Carla Del Ponte che indagava sui soldi mafiosi che arrivano nelle banche svizzere. Nello stesso periodo non va dimenticato che Leoluca Orlando della Rete, oggi nell’Idv di Antonio Di Pietro, sosteneva che forse le bombe erano state messe dallo stesso Falcone per potenziare il suo ruolo! E mentre la Lega vinceva al Nord, Orlando vinceva in Sicilia. Oggi che è stata assicurata alla giustizia la maggior parte degli esecutori materiali delle varie stragi rimangono in piedi alcuni interrogativi, inquietanti ma logici. Chi sono le menti raffinatissime? Chi ha costretto Vincenzo Scarantino a mentire sotto ricatto e affermare di avere rubato la Fiat 126 dell’attentato in via D’Amelio e per che cosa? Affermazioni che costringono oggi Caltanissetta a
riaprire i processi sulla strage Borsellino dopo le dichiarazioni di Spatuzza? Chi ha usato e poi scartato l’ala stragista di Cosa Nostra per poi tornare a ristabilire l’antica e proficua pax mafiosa con Provenzano, latitante per altri tredici anni da quei fatti? Chi l’ha protetto, malgrado i suoi continui incontri con Vito Ciancimino, personaggio politico che sarebbe dovuto essere guardato a vista. Le indagini riaperte di recente a Firenze, a Caltanissetta e a Palermo seguono da vicino la traccia lasciata da uomini dei cosiddetti servizi segreti, questa "entità" sempre più ibrida di cui le "menti raffinatissime" si sarebbero servite per destabilizzare e poi spalancare le porte al "nuovo". Chiunque fosse stato questo nuovo. Una vecchia efficace metodologia che risale agli albori della Repubblica. Sono molti a ipotizzare legami con la destra più destra, i servizi e il potere politico. Quello che infastidisce molti, anche di sinistra, è la parola "entità". Come fosse qualcuno che tirava le fila. Probabilmente le parole non sono all’altezza dei fatti - come affermano pm e anche politici come Violante -, probabilmente si tratta di personaggi che cercavano di usare sia la mafia sia le stragi per destabilizzare. E’ chiaro che oggi sia un momento delicatissimo per i magistrati che lamentano fughe di notizie e intravedono persino il tentativo di «intorbidire le acque» e di «dividere le procure di Palermo e Caltanissetta», come ha detto il procuratore capo di Caltanissetta Sergio Lari, accusando Lirio Abbatte di aver pubblicato sull’Espresso notizie che dovevano restare segrete. Ma chi ha fatto uscire le notizie poi pubblicate? Il problema è sempre questo, anche rispetto alle intercettazioni.
C’è comunque una certezza da riaffermare: la mafia, o meglio - come aveva spiegato bene Falcone - Cosa Nostra era molto ma molto forte, visto che godeva di una disponibilità economica senza confine, al punto che non aveva bisogno della politica,se non per qualche appalto, che spesso serviva a giustificare la quantità dei soldi prodotti illegalmente. Abbiamo forse dimenticato la quantità di negozi di abbigliamento che aprono in Italia poco prima del 2000, facendo chiudere i più antichi e conosciuti bar e che servivano a riciclare soldi che il cambio da lira in euro non avrebbe consentito di fare altrimenti?.
C’è una immagine che rimane nella mente. E’ lo skateboard del film "Il divo" (protagonista Tony Servillo nelle vesti di Giulio Andreotti ) che corre per Montecitorio prima della nomina del presidente della Repubblica, come sintesi della strage di Capaci. Strage che per l’opinione pubblica servì comunque a colpire il grande desiderio di Andreotti di diventare Capo dello Stato e quello di Bettino Craxi che doveva essere nominato capo del governo, proprio da Andreotti. Questi erano i patti. Dopo la strage, in tutta fretta, fu eletto Oscar Luigi Scalfaro. Sono in molti a dire che comunque Andreotti si era già giocata la presidenza dopo il delitto di Salvo Lima, avvenuto a Palermo il 12 marzo 1992. Data che, dopo l’Addaura, è segnata dalla logica del terrorismo mafioso.
L’udienza dei processo Dell’Utri in cui venivano ascoltati i fratelli Graviano sembra uguale a quella di alcuni anni prima, quando Badalamenti doveva annunciare in teleconferenza dagli Stati Uniti, mentre l’imputato Andreotti era nell’aula bunker di Palermo, la sua posizione contro il pentito Tommaso Buscetta. Tanto rumore di stampa: "parlerà... dirà..." (come per i Graviano al processo Dell’Utri) e finalmente ci sarà chi contesterà Buscetta; "verrà al mio processo per dirè la verità" (disse Andreotti). Ma Badalamenti in teleconferenza dall’America disse semplicemente: «Non verrò in Sicilia, non ho nulla da dire». Fu una delle poche volte nelle quali Andreotti reagì, buttando la sua penna sul tavolo dell’aula bunker, dove era seduto, in prima fila. Filippo Graviano, anche lui in teleconferenza dal carcere, non smentì direttamente Spatuzza, ma disse: «Sto molto male, voglio essere curato». I due imputati eccellenti si ritrovarono di nuovo imputati con le accuse di sempre. Ne una più né una in meno.
Ma c’è una sentenza significativa del febbraio 2001, con la quale "Alfa" e "Beta", cioè Berlusconi e Dell’Utri, vengono assolti con la richiesta di archiviazione (anche Firenze aveva archiviato nel novembre 1998 contro gli stessi imputati che venivano chiamati "Autore 1 " e "Autore 2"). Eppure tutto quello che viene scritto dai pm e inoltrato al gip ha una rilevanza ancora oggi. E’ scritto: «Dalle dichiarazioni di Brusca (Giovanni, oggi definitivamente collaboratore) risulta che dopo la sentenza del 30 gennaio 1992 n. 80 della Suprema Corte di Cassazione ebbero luogo una serie di riunioni con l’intervento di Riina e di altri capomandamento nel corso delle quali si deliberò l’adozione di una strategia di attacco allo Stato. Strategia che doveva passare anche attraverso l’eliminazione di avversari di Cosa Nostra al fine di creare nuovi rapporti con quegli esponenti politici che avessero mostrato disponibilità a modificare le misure adottate nel contrasto alla mafia in cambio del ripristino di una situazione di normalità per l’ordine pubblico». Sempre nella stessa sentenza 27/97 si scrive che «dopo una riunione tra fine febbraio e marzo 1992 alla presenza di Brusca, Riina, Biondino, Raffele Ganci, e Cancemi si parla della decisone di uccidere Falcone, Borsellino, Vizzini, Mannino e Purpura proposto da Brusca e Arnaldo La Barbera proposto da Cancerni». C’è una domanda fondamentale nelle sentenza che ci portiamo sino ai nostri giorni: come potevano gli odierni indagati ("Alfa" e "Beta") che all’epoca delle stragi del 1992 (tra la fine del 1991 e l’inizio del ‘92) erano tutt’al più titolari di interessi economici ed imprenditoriali, non già di una formazione che era ancora di là a venire, come potevano rappresentare con certezza gli interlocutori di Cosa Nostra del futuro quadro politico? Le stragi sono state realizzate in un momento di crisi del sistema dei partiti, questo è indubbio, ma quello è il periodo degli appalti nazionali dove stavano insieme personaggi del mondo industriale, come Gardini, e boss che oggi sono in galera, come Francesco Buscemi (ricordate i famosi BiBo di Vito Ciancimino?), che non solo sapeva le cose perché era stato funzionario dei Lavori Pubblici alla provincia di Palermo ma in seguito anche segretario particolare di don Vito. Come è possibile affermare che da questo stato di crisi si sarebbe passati presto a un sistema in cui protagonisti sarebbero stati gli odierni indagati?


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