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Notti insonni e tanta acqua. L'arte dell'ostruzionismo

• da La stampa del 10 giugno 2010

di Mattia Feltri

 

Poi arrivarono i radicali e ne fecero una scienza perfetta. Le truppe di Marco Pannella trasformarono il filibustering all’italiana in una guerriglia snervante, dal tafferuglio che era. E infatti un citatissimo brano del Corriere della Sera, anno 1949, racconta: «All’improvviso ecco balzare alto sulla mischia il comunista Pajetta (Giuliano, ndr) che, partito come un razzo dal terzo settore, con tre balzi aerei, da un settore all’altro, è piombato a tuffo nel groviglio di teste, braccia, e gambe e in quel groviglio sparisce inghiottito...». Si discuteva dell’adesione al Patto Atlantico e l’ostruzionismo era presto sconfinato nello
scompiglio. Lo storico Giuseppe Mammarella, ripreso da Gianni Corbi, descrisse l’aula del Senato riadattata a ring, una scazzottata buona per gli spaghetti western, e stavolta siamo al 1953, discussione sulla «legge truffa».
Volavano corpi contundenti e Giulio Andreotti raccontò ad Aldo Cazzullo di essere rimasto ai banchi del governo con un cestino della cartaccia in testa, nella funzione del casco. I radicali introdussero la strategia. Gianfranco Spadaccia (fu sia deputato sia senatore) ricorda di quando, «insieme con Franco De Cataldo, redigevo i testi degli interventi che Marco Pannella, Emma Bonino, Adele Faccio e Mauro Mellini adoperavano come traccia per i loro interventi fiume». Siamo negli Anni Settanta. La battaglia
parlamentare avvampava attorno alle questioni referendarie. «Parlavano cinque o sei ore a testa, ma in quattro gatti c’era poco da fare», spiega oggi Spadaccia. Se lo avesse fatto il Pci, coi suoi duecento onorevoli, avrebbe bloccato qualsiasi legge.
E infatti, nella legislatura successiva (1979-1983), lo show del filibustering ebbe le sue repliche più gloriose. E dopo quasi trent’anni Massimo Teodori cede e consegna al collega Marco Boato il record: «Parlò più di me». I due si contendono il primato da quel febbraio 1981, quando per la seconda volta si cercava di reiterare il decreto sulle legge emergenziali nella lotta al terrorismo. Teodori ha sempre sostenuto di aver tenuto banco un quarto d’ora più di Boato. Oggi si autorevisiona: «Andai avanti più di diciotto ore. Boato intervenne dopo di me e, benché esausto, mi superò per il gusto di superarmi». Boato
rettifica: «Parlai una prima volta per sedici ore e una seconda volta per diciotto ore e venti minuti. Cominciai alle otto di sera e finii alle 14.20 del giorno successivo, e avevo ancora un paio d’ore d’autonomia. Ma sono contento che dopo vent’anni Teodori non si attribuisca più un record che forse è mondiale». Quello che conta è che i due erano parlamentari radicali. In quella legislatura il gruppo pannelliano aveva diciotto deputati, e l’ostruzionismo riuscì meraviglioso. Alla staffetta, che inchiodò la Camera per giorni, presero parte anche Leonardo Sciascia e Franco Roccella il quale «si applicò un catetere, poiché aveva una certa età e temeva di farsela addosso. Arringò l’aula cinque o sei ore, mica uno scherzo», dice oggi Boato.
Non per niente, qualche anno prima, il capo del Movimento sociale, Giorgio Almirante, si era esibito per otto ore consecutive (sull’ordinamento regionale) guadagnandosi il titolo di Vescica di Ferro. Sebbene il problema, nella collimante opinione di Boato e Teodori, è l’opposto, è la disidratazione.
I due, per prepararsi, avevano trascorso settimane alla biblioteca della Camera. Stesero tracce di pagine e pagine. Si sobbarcarono quella fatica folle perché non erano i tempi del filibustering anglosassone,passato romanticamente alla storia perché gli eletti occupavano la Camera giorni interi
leggendo a voce alta la Bibbia. Il regolamento prevedeva che i deputati parlassero a braccio (se leggevano un testo scritto avevano un limite inferiore all’ora), soprattutto non uscissero dal seminato, non avessero altro da ingurgitare che acqua, restassero all’impiedi e non facessero cenno d’appoggiarsi al banco. «Io mi appoggiai e il presidente, Nilde Jotti, mi richiamò», dice Boato. Con la Jotti ingaggiò duello anche Teodori: «Continuava a interrompermi con rilievi di natura storica o tecnica nella speranza di esasperarmi, ma io andai avanti».
Fu il passo d’addio. Una settimana dopo i regolamenti parlamentari erano stati cambiati «e oggi quelle performance sono proibite», dice Peppino Calderisi, ex radicale oggi nel Pdl. Ora sì chiede la verifica del numero legale, si gioca sui regolamenti, ma se si vuole far teatro - «lo scopo non è affossare la legge, si sa che è impossibile: lo scopo è attirare l’attenzione dell’opinione pubblica», spiega Calderisi l’unica chance è di occupare l’aula, ma la faccenda dura al massimo qualche ora nell’indifferenza di chi sta dentro e soprattutto di chi sta fuori. Per Calderisi è una prova (delle tante) dell’inutilità di chiamarsi onorevole, e dell’incapacità di inventarsi un ruolo nuovo. 0 perlomeno una marachella.


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