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Occupata tutta la notte dai dipietristi (fatti sgombrare in mattinata e poi riammessi per il voto); abbandonata prima del voto dai democratici; circondata, all’esterno, dal "popolo viola" e dai giornalisti della Federazione nazionale della stampa: l’aula del Senato,ha approvato ieri, con il voto di fiducia posto dal governo, il ddl intercettazioni: 164 i sì, solo quelli di Pdl e Lega, 25 i no, quelli di Idv, radicali e Udc. Nessuno dei sette senatori a vita ha partecipato al voto. Una giornata di festa per il ministro della Giustizia Angelino Alfano, perché «uno dei punti del programma elettorale del Pdl è stato realizzato» con un testo che è «un ottimo punto di equilibrio».
Una giornata funesta per i giornalisti: oggi i giornali usciranno listati a lutto e la protesta contro «il silenzio stampa» continuerà nei prossimi giorni, per sfociare in uno sciopero in coincidenza con l’approvazione definitiva (forse il 9 luglio) di questa legge. Che, aggiungono gli editori, «lungi dal tutelare la privacy, ha un effetto intimidatorio». Una buona giornata per i criminali, sostiene l’Anm, perché il ddl «mette in ginocchio l’attività di indagine dei pm e della polizia e, quindi, garantisce l’impunità a chi commette reati». Una giornata che «nemmeno il fascismo...», dice Antonio Di Pietro, perché «ormai in
Parlamento c’è uno stato di illegalità permanente». E Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd, aggiunge: «Oggi, qui, comincia il massacro delle libertà ». Con questi sentimenti contrapposti, il testo sulle intercettazioni passa ora alla Camera, dove, secondo Silvio Berlusconi, dovrebbe essere «ratificato» in tempi rapidi, magari con un altro voto di fiducia (il terzo). Ma il condizionale è d’obbligo perché i finiani - di cui pure è figlio il compromesso votato ieri non sono un granché soddisfatti. Fabio Granata, vicepresidente dell’Antimafia, continua a ripetere che la fiducia ha «impedito» ulteriori, importanti modifiche «auspicabili nella lotta alla criminalità organizzata». La sua non è una voce isolata né nel
gruppo dei finiani né sui siti che gravitano attorno al presidente della Camera. Ieri Farefuturo sottolineava gli errori contenuti nel ddl. «Si poteva fare di più e meglio», scriveva il direttore del giornale online della Fondazione, senza nascondere la «brutta sensazione» di aver fatto «la foglia di fico di una decisione che non piace». Non piacciono le norme sulle ambientali, sul limite di durata di 75 giorni, sulle sanzioni agli editori. Capitoli da riaprire alla Camera? È prematuro trovare una risposta. Di certo, l’opposizione farÃ
una pressione fortissima sulla presidente della commissione Giustizia, la finiana Giulia Bongiorno,
affinché avvii audizioni ed eviti accelerazioni. Anche la Lega, sebbene Umberto Bossi vada ripetendo che la legge sulle intercettazioni «si devé fare, si deve fare», sa di giocare una partita delicatissima, tanto più in vista delle riforme.
E neppure nel Carroccio mancano voci, se non proprio contrarie, certamente critiche. Come quella del deputato Matteo Brigandì, che ha detto chiaro e tondo di essere «molto perplesso, perché nel ddI ci sono molte cose che non vanno, tra cui anche le sanzioni per gli editori e i giornalisti». Chiusa la partita in Parlamento, spetterà al Presidente della Repubblica verificare che la legge abbia tutte le carte in regola per essere promulgata. Ieri Di Pietro ha detto di avere la «legittima aspettativa» che Napolitano non firmi. La replica, infastidita, del Capo dello Stato è arrivata in serata: «I professionisti della richiesta di non firmare sono numerosi, ma molto spesso parlano a vanvera. Non ho nulla da dire su questi argomenti, su cui ho detto o ho fatto dire negli ultimi giorni, e non ho nulla da aggiungere». Napolitano si era raccomandato di approvare una legge «più accettabile per tutti», ma non sembra che il governo gli abbia dato retta.