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L'impero esentasse di propagnada fide

• da Il Secolo XIX del 18 giugno 2010

di Francesco Peloso

 

Uno Stato nello Stato: in tal modo si configura l’immenso patrimonio immobiliare del Vaticano in Italia. Una realtà talmente articolata che sfugge a catalogazioni definitive, anche se alcune stime attendibili dicono che il 20% del totale dei beni immobili del Paese appartiene ad enti ecclesiastici, congregazioni vaticane, ordini religiosi e società legate alla Chiesa cattolica più o meno direttamente.
Si tratta in ogni caso di una ricchezza straordinaria che produce reddito in maniera incessante e che vive di ottima salute anche perché si avvale di privilegi eccezionali sotto il profilo fiscale. E infatti i circa 2.000 enti ecclesiastici che controllano una parte considerevole del patrimonio godono dello status di enti di beneficenza, il che vuol dire, fra l’altro, un pagamento ridotto del 50% dell’Ires (l’imposta sul reddito delle società), senza contare l’esenzione dall’Ici. Inoltre gran parte dei beni culturali presenti sul territorio italiano appartengono alla Chiesa e quindi sono oggetto di ristrutturazioni e restauri a spese dello Stato, senza cioè che venga intaccato il "tesoretto" di circa un miliardo dell’8 per mille dei fondi Cei.
Da questa confusione fra beneficenza e affari, risulta una perdita perle casse pubbliche di dimensioni incalcolabili, anche perché negli ultimi vent’anni le strutture religiose hanno fatto irruzione nel settore turistico sfruttando, in primis, il grande business dei flussi di pellegrini verso santuari e luoghi di culto, ma non limitandosi, tuttavia, solo a quel settore.
Se questa è la fotografia generale della situazione, per comprendere le ragioni del coinvolgimento del Vaticano e della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, l’ormai famosa Propaganda fide, in inchieste giudiziarie così rilevanti, è necessario fare un passo indietro. Bisogna infatti tornare al 1998 quando in Italia viene abolito da un governo di centrosinistra, l’equo canone. Un provvedimento che segna la svolta: i centri storici, quello di Roma in modo particolare, fino a quel momento in preda al degrado e spesso abitati dagli strati sociali più poveri, si aprono al mercato. Partono le ristrutturazioni e gli sfratti, i prezzi degli immobili in zone un tempo popolari salgono vertiginosamente, in centro arrivano politici, uomini d’affari, personalità dello spettacolo, giornalisti televisivi: insomma potenti di ogni ordine e grado. Nella Capitale l’alta borghesia si trasferisce dalla Cassia, dai Parioli, ai quartieri ora ambiti del centro storico, fino a non molto tempo prima teatro delle gesta criminali della banda della Magliana. Ancora nel 1990, Enrico De Pedis, "Renatino", uno dei boss dell’organizzazione, veniva ucciso in Via del
Pellegrino, vicino Campo de’ Fiori, nel cuore storico della città; sarà poi sepolto nella Chiesa di Sant’Apollinare. Quella stagione si chiude e il Vaticano comincia a valorizzare e a usare il suo tesoro fatto di migliaia di appartamenti, di edifici storici, palazzetti nobiliari, monasteri, conventi, case religiose, sparse in ogni borgo e cittadina italiani.
A Roma il centro del sistema è la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli che nel corso dei decenni ha accumulato un patrimonio straordinario fatto di donazioni, lasciti, regali, il tutto per finanziare le missioni cattoliche nei territori di frontiera. La fine dell’equo canone coincide temporalmente con gli anni che precedono il grande Giubileo del 2000. È il momento dell’ascesa di monsignor Crescenzio Sepe, uomo-macchina del Vaticano con grandi capacità manageriali. Dapprincipio viene chiamato a guidare il comitato organizzatore del grande evento al posto di monsignor Sergio Sebastiani, poi gestisce con successo l’Anno Santo e il denaro che confluisce, per l’occasione, su Roma e sul Vaticano; Sepe è legato al segretario personale di Karol Wojtyla, Stanislaw Dziwisz, e nel 2001 viene nominato prefetto di Propaganda fide. Sembra l’inizio di una sfolgorante carriera che può portarlo fino alla Segreteria di Stato.
Il neo-cardinale (proprio ieri una nota del Vaticano ha ricordato che non è più alla guida della Congregazione, quasi a segnare le distanze dopo gli scandali sulla gestione dell’epoca) valorizza il patrimonio immobiliare, lo mette sul mercato, lo fa rendere con criteri aziendali; non agisce, però, a titolo personale è anzi interprete fedele di una precisa strategia della Santa Sede. Con lui arrivano a Propaganda fide Francesco Silvano e Angelo Balducci; il primo è collaboratore di Sepe nell’organizzazione del Giubileo, il secondo, all’epoca, provveditore delle opere pubbliche per il Lazio, nonché gentiluomo di sua Santità.
Il Giubileo, il primo grande evento di una lunga serie, è dunque la prova generale di un sistema che si sta ancora formando. Silvano e Balducci diventano consultori della Congregazione; vicino a loro troviamo anche Pasquale de Lise, presidente aggiunto del Consiglio di Stato e chiamato ora dal ministro dell’Economia Tremonti a dirigere la Commissione tributaria centrale. Si tratta di una squadra di prim’ordine che vedrà anche la partecipazione di monsignor Francesco di Muzio, incardinato nel clero dell’Opus Dei, quale capo dell’amministrazione di Propaganda fide. Questi nomi sono tornati più volte nell’ambito dell’inchiesta relativa ai Grandi eventi ma, oltre il profilo giudiziario, quello che nasce nella prima metà degli anni 2000, è un gruppo di potere legato al Vaticano che utilizzerà la politica e gli uomini pubblici, per stringere rapporti e attivare utili relazioni di scambio. «Attraverso questo immenso patrimonio immobiliare, la Chiesa
mette in campo un potere simoniaco e lo esercita sulla classe dirigente italiana», è la valutazione di Mario Staderini, segretario dei Radicali italiani, cha ha lavorato a lungo sull’inventario dei beni vaticani. Nel 2006, Ratzinger manderà Sepe a Napoli e l’ex segretario di Wojtyla, Dziwisz, diventato cardinale, a Cracovia; ma nell’annuario pontificio 2010 figura ancora il nome di Balducci.


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