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A Messina hanno inventato il "sacco edilizio legale"

• da Il Venerdě di Repubblica del 18 giugno 2010

di Paolo Casicci

 

Herman Schultze, un messinese di origini tedesche, è perplesso. Tre palazzine stanno sorgendo su un pendio scosceso del suo quartiere, l’Annunziata, e un muro di contenimento è stato spezzato dalle violente piogge invernali. Una possibile minaccia, per il Liceo Bisazza che sorge a valle. E che è collegato alla città da un’unica strada, usata dall’impresa fino allo stop provvisorio intimato settimane fa dal Comune. Più a nord, l’associazione Mediterranea per la natura ha denunciato un’altra ditta: sul torrente Trapani, avrebbe sbancato parte del terreno destinato al verde con il quale dovrebbe compensare il carico
delle palazzine che sta costruendo su un pendio, vicinissime a un pilone dell’Enel e a un viadotto autostradale.
Nella città dove anche il Ponte è una babbiata - uno scherzo, una presa in giro - non è una babbiata la cordigliera di cemento che avanza lungo l’arco dei fragilissimi monti Peloritani, divorando, uno spicchio dopo l’altro, uno dei territori a maggior rischio sismico e idrogeologico d’Europa. «Una follia» per il capo del Genio civile di Messina Gaetano Sciacca. Poco importa che la natura abbia restituito parte della violenza subita nel tempo con l’alluvione che, a ottobre, ha sventrato villaggi nella zona sud trascinando con sé 31 vittime e 6 dispersi. Da gennaio, sono piovute altre 47 richieste di concessioni per residence e villaggi vari. Promettono tutte ampie metrature, verde e vista sullo Stretto. E i cantieri corrono veloci, lungo le 51 fiumare cittadine che digradano verso il mare, pronte a trasformarsi in «bombe d’acqua» al prossimo nubifragio. una corsia preferenziale all’edilizia la assegna la legge regionale sul silenzio assenso: «Accade spesso che si presenti il progetto, gli uffici comunali lo ignorino e 120 giorni dopo il cantiere parta» spiega un inquirente. Se, invece, gli uffici guardano i progetti, spesso chiudono un occhio.
Quando addirittura non danno una mano ai costruttori. Come nel caso del torrente Boccetta. In città ricordano ancora la sfuriata del procuratore capo Guido Lo Forte: l’impresa che stava costruendo un complesso vicino all’ingresso dell’autostrada aveva ottenuto da un ufficio provinciale il permesso di accedere al cantiere da un passaggio sotto il viadotto. E, per allargare il varco, aveva demolito una porzione di fondazione del palo sul viadotto stesso. Risultato: un’inchiesta sfociata in tre arresti e la chiusura per una settimana della rampa, che avrebbe potuto cedere. «Secondo la Protezione civile quella era l’unica via di fuga» sottolineò Lo Forte, rimarcando «la gravità inaudita» dell’accaduto e puntando il dito contro chi, «per agevolare interessi privati», «in maniera spregiudicata» aveva messo «a repentaglio
la vita di migliaia di cittadini». Ma non c’è bisogno di violare la legge, per esporre la città al rischio. Il sacco di Messina è uno scempio legalizzato, perché il «piano sregolatore» - come ha preso a chiamarlo l’assessore all’Urbanistica Giuseppe Corvaja, che, sull’onda delle denunce del Genio civile, ha intimato una serie di stop e annunciato la revisione di alcune concessioni, a partire da tutte quelle sul torrente Trapani - permette qui ciò che altrove sarebbe impensabile. Per esempio, il complesso Aralia, voluto da Vincenzo Pergolizzi, assolto nel 2008 dall’accusa di concorso in associazione mafiosa: sorge su un pendio ripidissimo, e una delle strade d’accesso culmina con un senso unico alternato sulle colline di Montepiselli. Qui il vincolo c’era: lo ha spazzato via una variante al Prg. Osserva l’architetto Marcel Pidalà: «Intere aree in collina sono state classificate zone di completamento e cementificate». Come il torrente Paradiso, sul quale sorge un’altra serie di residence in costruzione. Uno di questi, nel 2007 è al centro di un dialogo, intercettato, tra l’allora procuratore aggiunto Pino Siciliano, poi indagato per concussione, e il segretario provinciale dell’Udc Michele Caudo. Il primo ipotizzava di acquistare una casa nel complesso e intestarla a un prestanome. Caudo è stato poi condannato per avere rivelato al capo dell’urbanistica che era intercettato: notizia appresa da Siciliano (oggi in attesa di giudizio). Da ultimo, è un’interrogazione bipartisan della radicale Elisa Zamparutti e del finiano Fabio Granata a segnalare che «intere colline sono state sbancate, destabilizzando gravemente i pendii che sono pertanto di facile dilavamento e lisciviazione». E come siano prossime a partire lottizzazioni «anche in aree già fortemente a rischio idrogeologico». Su questo grumo di interessi sono piombate le accuse del capo del Genio civile.
Con la prima denuncia, precedente l’alluvione di ottobre, Sciacca ha chiesto al Comune di dare lo stop al
Prg (e un «no» è giunto il giorno del disastro, segnalano Zamparutti e Granata). A strage compiuta, ha poi diramato la nota che impone ai suoi uffici di vistare i progetti solo dopo la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria: «I canali, il verde, perfino le vie di fuga: troppo spesso restano sulla carta». Interi complessi potrebbero diventare trappole per topi, nella città rasa al suolo un secolo fa e dove per anni ha spadroneggiato la Calcestruzzi Messina dei fratelli Pellegrino, che riforniva di cemento «depotenziato» le imprese della zona. Al Comune, l’assessore Corvaja annuncia una battaglia, pur tardiva. «Un front-office si pronuncerà entro 30 giorni sulle nuove richieste, per scongiurare il silenzio-assenso. E in commissione edilizia siederà finalmente un geologo». Anche se avanza lo spettro di una valanga di ricorsi, Corvaja dice che qualcosa si può bloccare. «Ma è inutile nasconderlo: urge un nuovo Prg».
Da mesi, intanto, Sciacca si ritrova alla porta dell’ufficio i costruttori: «"Ingegnere, abbiamo famiglia" mi dicono. E i faldoni si moltiplicano al ritmo di venti al giorno». Gli attacchi più duri gli sono piovuti addosso dagli ordini degli ingegneri e degli architetti. Mentre Sergio Dolfin, il geologo di una perizia che ha sostanzialmente sdoganato Aralia, è stato sorpreso da un’intercettazione ambientale mentre dava della «testa di cazzo» ad Anna Giordano del Wwf, impegnata contro lo scempio. Il suo interlocutore, un ex assessore, gli preannunciava che l’ambientalista avrebbe continuato «a rompere le palle». Aveva visto giusto: Giordano ha denunciato come il sacco edilizio possa essere un modo della mafia di riciclare denaro. Anche in Procura si domandano perché in una città in calo demografico si continuino a costruire case che spesso restano invendute. Sarà per questo che, racconta Sciacca, «la sera, tornando a casa, mi guardo alle spalle...».


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