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Piero Milio è stato un difensore della libertà . Sosteneva che Il processo di Kafka, in Italia, fosse un romanzo che si era fatto realtà . Infatti, in ogni campo, in ogni settore, in ogni luogo, la sua bussola è sempre stata quella della libertà : da difendere, da diffondere. Non a caso, anche quando lo si incontrava in modo fugace, anche quando la conversazione si limitava a un paio di battute o capitava di sentirlo per una breve telefonata, ogni volta, riusciva a lasciare nell’interlocutore un segno tangibile del suo passaggio. Aveva questa qualità , forse involontaria, sia quando affrontava temi legati all’impegno politico sia quando era in compagnia di amici, oppure quando il discorso cadeva su considerazioni e argomenti attinenti la sua professione di avvocato. Perché così era l’uomo, la persona, il cittadino Piero Milio. Leonardo Sciascia, siciliano come Milio, una volta scrisse: "I morti sono i pensionati della memoria, ma bisogna sempre pensionarli di verità ". Ora che la memoria ci si stringe in gola per il dolore della scomparsa di Piero, domenica scorsa, risulta difficile scovare, tra le verità dell’avvocato Milio, anche i suoi difetti o i lati meno nobili perché il senatore aveva davvero una rara nobiltà d’animo. Non era mai banale né scontato, era sempre cortese e gentile con tutti, paziente e caparbio, acuto e intelligente nelle osservazioni, determinato e disponibile. E il suo passaggio, in questa vita, ha lasciato un segno profondo in coloro che lo hanno conosciuto.
Era nato in Sicilia, a Capo d’Orlando (Messina), nel 1944. Si definiva un liberale e lo era. Non come tanti che dicono di esserlo, ma si limitano a usare il vocabolo senza poi dargli un significato e un vissuto. Piero Milio era un liberale, un politico serio e un gran lavoratore, stimato anche dai suoi avversari e dai commessi o dai funzionari del nostro Parlamento, sia alla Camera che al Senato. Aveva dentro di sé tutti i riferimenti morali e culturali che servono per nutrire, giorno per giorno, il senso civile di un uomo e che lo muovevano, in ogni lotta politica e in ogni processo, lungo il solco e nel rispetto dello stato di diritto e della giustizia giusta. Aveva una sensibilità che lo portava a cogliere i vari dettagli delle questioni soffermandosi sui gesti, sull’uso della parola, sui riscontri. Ancora giovanissimo, in qualità di assistente e allievo dell’avvocato Girolamo Bellavista, seguì in aula e si appassionò moltissimo a uno dei casi giudiziari più eclatanti degli anni Cinquanta, il famoso "caso Montesi". Era stato anche amico di Giovanni Falcone. Nel 1994 venne eletto alla Camera con la lista del Patto per l’Italia, nel collegio della Sicilia occidentale. Nel ‘96 era stato poi eletto al Senato come esponente della Lista Pannella e per anni è rimasto l’unica sentinella radicale all’interno del Parlamento. Milio rifiutava i trasformismi e, secondo lui, qualsiasi accordo doveva essere sancito da un passaggio politico. Infatti, provava disgusto nei confronti della vecchia pratica della campagna acquisti che spesso si svolge all’interno del Palazzo. Nel 2005, non approvò l’alleanza dei Radicali con il centrosinistra e scelse di partecipare alla costituzione, con Benedetto Della Vedova, del movimento dei Riformatori liberali.
Pietro Milio, va ricordato, è stato per anni l’avvocato difensore di Bruno Contrada e del generale Mario Mori. Ma ora ci ha lasciati. E questo ci pesa. Ha chiuso gli occhi un sabato pomeriggio, lo scorso 19 giugno, eppure vive con noi in quella che Aldo Capitini chiamava «la compresenza dei morti e dei viventi». Noi, continueremo a sentirlo ancora con noi. Per sempre.