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E così il nucleare si farà . Lo ha deciso ieri la Corte costituzionale, respingendo i ricorsi presentati
da dieci regioni sulla legge delega del 2009 che sanciva il ritorno al nucleare italiano. Lazio, Umbria, Basilicata, Toscana, Calabria, Marche, Molise, Puglia, Liguria ed Emilia-Romagna avevano sollevato profili di incostituzionalità per alcuni elementi della legge. In particolare i ricorsi si concentravano sull’assenza di un’intesa con le regioni interessate dalla scelta dei siti, sulla possibilità per il governo di dichiarare i siti «aree di interesse strategico nazionale» e sulla procedura che prevedeva un’autorizzazione unica ministeriale per la costruzione, l’esercizio e lo smaltimento dei rifiuti radioattivi, senza consultare la regione interessata. La Consulta ha però ritenuto che i quesiti fossero in parte «inammissibili» e in
parte «infondati».
«Mi sembra strano - commenta a caldo l’avvocato Manzi, che ha discusso la causa giusto l’altro ieri - Il poco tempo che hanno impiegato per decidere potrebbe indicare non un rifiuto nella sostanza. Almeno per i questi dichiarati inammissibili, la Consulta potrebbe aver indicato un’interpretazione costituzionalmente orientata’ che salvaguardi la legge, imponendo di applicarla in un certo modo, per esempio estendendo i momenti di consultazione delle regioni. Ma siamo nel campo delle ipotesi. Aspettiamo che la sentenza sia depositata».
Dopo il referendum del 1987 con il quale i cittadini italiani hanno deciso di interrompere l’esperienza nucleare appena iniziata, più volte si era sfiorato l’argomento, considerato ancora «tabù» da molti. Silvio Berlusconi e il suo allora ministro Claudio Scajola non hanno avuto dubbi, invece, e pochi mesi dopo le elezioni del 2008 hanno rilanciato l’opzione nucleare. Con la sponda dell’amministratore delegato di Enel, Paolo Scaroni, all’epoca in giro per l’est Europa a fare shopping di vecchie centrali sovietiche. La legge delega del febbraio 2009, però, aveva scatenato l’accesa reazione di quasi tutti i presidenti di regione, oltre alle proteste dei comitati no-nucleare e delle associazioni ambientaliste, Greenpeace in testa Nichi Vendola aveva dichiarato: «Se vogliono piazzare una centrale in Puglia, dovranno venire coni carrarmati». Non è stato necessario: gli è bastata una pronuncia della Corte costituzionale. Le reazioni non si sono fatte attendere. Il ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo, in visita al reattore di Flamanville, Francia, ha espresso soddisfazione: «La decisione della Corte Costituzionale di rigettare l’impugnativa delle regioni sulla legge delega per il nucleare fuga ogni dubbio sulla legittimità dell’impostazione del governo su questo tema chiave per lo sviluppo del paese». Prestigiacomo ha spiegato di aver già parlato con Berlusconi, chiedendo di accelerare sull’avvio dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, e che avrebbe incontrato Umberto Veronesi ed Emma Bonino per «un franco
confronto sul questa sfida». Esprime apprezzamento anche il ministro degli affari regionali Raffaele Fitto, due volte battuto da Nichi Vendola in Puglia, e chiaramente felice di poter ricambiare con una bella centrale nucleare nel Tavoliere.
«La sentenza della Corte costituzionale - ha dichiarato- conferma il principio della competenza nazionale su questioni dalle quali dipende il futuro del paese nel suo complesso oltre che dei singoli territori. E’ evidente che le prese di posizione, inutilmente polemiche, di alcuni presidenti di regione si dimostrano finalizzate solo a strumentalizzazioni politiche». I Verdi prendono atto della decisione della Consulta, ma ritengono che la partita sia aperta: resta ancora in campo il ricorso contro il decreto attuativo della
legge. «Intanto - ha aggiunto il presidente Angelo Bonelli - il governo non ha ancora avuto il coraggio di dire agli italiani i siti dove intende costruire le centrali atomiche. Ma non riuscirà a farle perché la mobilitazione popolare glielo impedirà ». E alla società civile si appella anche l’Italia dei Valori: «Come volevasi dimostrare il referendum è l’unica arma per bloccare la costruzione delle centrali nucleari. Al di là della sentenza della Consulta, questo progetto del governo rimane un obbrobrio».
Ma il Pd, neanche a dirlo, già sì dichiara «pronto a discutere».
Chi imparerĂ ad amare la bomba?
La domanda adesso è: dove le faranno queste centrali? Da mesi circolano voci molteplici, ma una certezza c’é: i requisiti della tecnologia scelta, il cosiddetto nucleare di terza generazione, al secolo Epr, reattore pressurizzato europeo. La tecnologia francese richiede, infatti, zone poco sismiche, vicinanza
a grandi bacini d’acqua per il raffreddamento dei reattore, e preferibilmente la lontananza da zone
densamente abitate. Di posti che incontrino almeno i primi due requisiti in Italia non ce ne sono molti. Il toto-siti è angosciante, e il dito viene puntato innanzitutto sui luoghi che già ospitarono le centrali pre-referendum: Caorso (provincia di Piacenza) e Trino Vercellese (Vercelli). Ma tra le scelte possibili ci sono anche Montalto di Castro (Viterbo), per la sua disponibilità di acqua salata e le reti elettriche già installate per la megacentrale. Secondo altri sarebbero papabili anche Monfalcone (Gorizia), Porto Tolle (Rovigo) e Chioggia (Venezia) sul delta del Po, Scanzano fonico (Matera) e Oristano. Un boccone amaro per qualunque sito sarà scelto nella «provincia denuclearizzata», dove si affilano da tempo armi e denti. Anche là dove il centro-destra governa ed è egemone. Secondo il governo ci vorranno almeno tre anni per operare una scelta difficile: meglio comunicare ai condannati la sentenza prima o dopo le elezioni?