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Leggo che la Santa Sede istituirà una Congregazione dedicata alla evangelizzazione o, meglio, alla "rievangelizzazione" dell’occidente. La notizia dovrebbe almeno incuriosire un laico. Per puro caso, intanto, si è intrecciata con un’altra, quella relativa alla discussa gestione del patrimonio immobiliare della Congregazione di Propaganda Fide. Sono storie assai diverse, estrinsecamente avvicinate dal fatto che Propaganda Fide è la struttura ecclesiale da quattro secoli deputata alle missioni evangelizzatrici in mezzo mondo. Su questa seconda vicenda mi pare valga la pena osservare, quanto meno. che un patrimonio istituzionalmente così importante dovrebbe essere gestito nella più pien -trasparenza. Si discute molto, e si polemizza da parte laicista, circa l’ipotesi di aprire la chiesa a forme esplicite di democrazia. Basta conoscere anche superficialmente la sua storia per capire che si tratta di una richiesta senza senso.
Però un po’ di trasparenza (aspetto essenziale, costitutivo, della democrazia) appare essere necessaria e opportuna quando si ha a che fare con l’amministrazione e la gestione di beni sui quali l’opinione cattolica, dei fedeli, dovrebbe poter avere il diritto se non di intervenire direttamente almeno di gettare un occhio di controllo. Questa vicenda che, assieme a quella della pedofilia, ha messo in contatto le istituzioni ecclesiastiche con quelle laiche assegnando finalmente a queste ultime alla giurisdizione laica, civile, impregnata di illuminismo - il primato che la chiesa tenacemente contesta loro, ci fa tornare sulla faccenda della Congregazione perla evangelizzazione dell’occidente. L’idea della (ri)evangelizzazione dell’occidente a me pare sconcertante. L’occidente ha avuto una storia religiosa, specificamente cristiana, profonda e indiscutibile, che però poi ha avuto sviluppi intrinseci e logici che lo hanno portato a una interpretazione dell’elemento religioso coerentemente laica. E per nulla casuale: la laicizzazione delle istituzioni pubbliche, del costume, dei valori, non è un intervento estraneo, piombato sulle società occidentali per sconvolgerne e scompaginarne la trama, ma un lungo, dibattuto e anche sofferto, percorso di chiarificazione (e, fors’anche, di interiorizzazione) dell’elemento religioso. Nel momento in cui si sostiene che occorre rievangelizzare l’occidente si vuole negare questo percorso, ignorarne e stracciarne le logiche interconnessioni. A me pare un tentativo assurdo, incomprensibile e - soprattutto - votato all’insuccesso.
Che senso ha un Dicastero della salvezza? Quando sant’Agostino scrisse il suo capolavoro, la "Città di Dio", lo fece per controbattere le accuse rivolte dai pagani ai cristiani, indicati quali responsabili del tradimento e dell’infiacchimento della società e dei valori romani, un tradimento e un infiacchimento ai quali doveva essere imputato il tracollo del millenario impero e la messa a sacco della sua capitale da parte dei Goti. nel 410. Lo sconvolgente evento eccitò la riflessione del Vescovo di Ippona, avviandolo - da precursore di Hegel sugli impervi sentieri della filosofia della storia. Il sacco dei Goti (al quale. poco meno di mezzo secolo dopo, faceva seguito quello, anch’esso memorabile, dei Vandali) dovette essere qualcosa di simile a un 11 settembre 2001, però moltiplicato per mille. Per inquadrarlo e spiegarlo, Agostino disegnò un percorso del mondo terreno destinato a confluire nell’apoteosi finale della Città di Dio. Fu il momento fondante del medioevo cristiano, così come la creazione quasi contemporanea, da parte di san Benedetto, dei suoi monasteri, minuscole città di Dio portatrici di una nuova "modernità " strutturale, da contrapporre alla crisi del mondo classico. Penso che Agostino sia stato uno dei pochi pensatori ad aver lavorato correttamente sul concetto di declino dell’occidente. Ne aveva tutte le ragioni. Ma oggi? Non mi pare che nessuno, nemmeno per provocazione, abbia indicato nel dramma dell’11 settembre l’evento iniziale della crisi della modernità laicizzata. Come punto di riferimento della rottura si
assume la filosofia nietzschiana, ecc., dimenticandosi peraltro del ruolo, a nostro avviso assai più importante, della cultura "progressista" installatasi in Francia alla fine del XIX secolo, una cultura che portò al governo figure come Ferry o Combes. E dove sono oggi, nell’esperienza ecclesiale, gli equivalenti dei monasteri benedettini, con la loro rivoluzionaria divisione sociale del lavoro e la equitaria messa in comune dei suoi frutti, quasi a prefigurazione del fourierismo, di Saint Simon, dei kibbutz e
di ogni utopica Città del Sole? Quale può essere l’esempio ecclesiale che il mondo contemporaneo può far proprio per contenere e combattere il suo presunto declino? Può la semplice istituzione di un Dicastero, una Congregazione, fornire un qualche esempio, un qualche modello di salvezza?