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Come aiutare davvero le famiglie e insieme portare soldi allo Stato

• da Corriere della Sera del 30 giugno 2010

di Emma Bonino e Valeria Manieri

 

La scorsa settimana il ministro Brunetta ha confermato che i risparmi derivanti dall’equiparazione i dell’età pensionabile donne/uomini, così come richiesto dall’Unione Europea, ammonteranno a 3 miliardi e 750 milioni di euro in 10 anni. A regime, poi, si continuerà a risparmiare 242 milioni all’anno. Il governo fa chiarezza sul balletto delle cifre e noi, che non disponiamo né della Tesoriera e neppure degli uffici statistici degli enti previdenziali, non possiamo che constatare felicemente che la somma è ancora più «importante» del previsto. Inoltre il ministro Brunetta si sofferma sulle misure previste da un protocollo di intesa che destina i risparmi derivanti dall’equiparazione a una serie di politiche di conciliazione. Ma che genere di servizi servono alle donne e al nostro Paese?
I due problemi principali da risolvere in Italia sono la difficoltà di adeguare i servizi di cura per infanzia e anziani agli standard europei e la prevalenza del lavoro nero nel settore delle colf e badanti a cui si rivolgono le famiglie per la carenza di servizi pubblici e privati adeguati. La soluzione proposta dal ministro Brunetta dei nidi aziendali nella pubblica amministrazione, certamente positiva, rappresenta una goccia nel bicchiere vuoto dei servizi e non è in grado di dare una spinta significativa alla soluzione dei due problemi a cui abbiamo accennato. Se c’è poi una politica dal limitato effetto è l’investimento in asili aziendali, per due ordini di ragioni: le aziende assumono poche donne perché poco «convenienti» (sarebbe assai più utile spendere quelle cifre per incentivi alle imprese che intendano impiegarle); la dimensione aziendale che da noi a fatica si presta, a differenza di altri Paesi europei, al nido interno. Tutto serve, ci mancherebbe. Però questo tipo di intervento non riesce ad essere incisivo sulle donne
fuori dal mercato del lavoro - disoccupate e inattive - cioè la maggioranza delle donne. Inoltre con il piano di conciliazione già previsto dal Protocollo d’Intesa tra il ministro Carfagna e Giovanardi, si mobilitano complessivamente risorse modeste (40 milioni di euro) anche verso le persone meno abbienti. A nostro parere, non tutti gli interventi, seppur positivi, hanno le stesse potenzialità e i medesimi effetti sull’occupazione femminile. Vanno scelti con estrema attenzione. Siamo convinte che si debba programmare come spendere tutti i risparmi con un dibattito pubblico aperto, valutando le possibilità, con un occhio attento all’Europa.
Insistiamo con una proposta già sperimentala con successo in Francia: destinare i risparmi derivanti dall’equiparazione a un progetto sul modello dei Cesu, «voucher universali dei servizi alla persona». Proviamo a spiegare meglio perché un modello del genere in Italia potrebbe portare notevoli vantaggi. Il pregio maggiore dei «voucher universali dei servizi alla persona», sta nella capacità di rivolgersi alle famiglie a prescindere dal reddito, di mobilitare e responsabilizzare, in base al principio della sussidiarietà, molteplici risorse private, delle imprese e del settore pubblico, per creare un mercato dei servizi alla persona moderno, trasparente, basato sulla possibilità di scegliere liberamente i servizi che meglio si adattano alle proprie esigenze. Riducendo così i costi burocratici e le inefficienze pubbliche.
Il successo di questi «voucher» dipende:
a) dalla possibilità per le famiglie di pagare ì servizi a un costo inferiore di quello praticato dal mercato nero e
b) dai vantaggi, non solo economici, degli altri soggetti della filiera che possono mobilitare risorse aggiuntive a quelle pubbliche, per esempio le imprese che sono incentivate a co-finanziare i voucher a favore dei propri dipendenti.
A fronte di una spesa pubblica per coprire la differenza fra costo in nero e in chiaro dei servizi alla persona stimato in 300 milioni all’anno, si otterrebbe, com’è successo in Francia, una emersione poderosa del sommerso (il voucher può essere utilizzato solo con contratti regolari) che porterebbe nelle casse dell’Inps almeno 1,3 miliardi all’anno di contributi sociali aggiuntivi e in quelle dello Stato entrate altrettanto consistenti per l’emersione di nuovi contribuenti.
Insomma, tra la cifra complessiva dei risparmi dell’equiparazione e gli ipotetici risparmi derivanti dal meccanismo virtuoso dei Cesu, potremmo avere in Italia un vero e proprio tesoretto da investire in welfare e azioni positive di incoraggiamento e supporto all’occupazione femminile.




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