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Ripesco, dal dossierino dei ritagli utili, una pagina de L'Indice dei libri del mese con la rubrica curata da Bruno Bongiovanni ("Babele. Osservatorio della proliferazione semantica"). La pagina è del febbraio 2009, e la rubrica è dedicata, stavolta, al termine "individualismo". di cui ripercorre succosamente la lunghissima storia. Il termine viene dal latino "individuus", aggettivo "che si trova in Cicerone e Seneca" per significare - in parallelo con il greco "atomos" - "indivisibile". Penso che la scoperta di un ente primario, l'atomo appunto, al di sotto del quale né la niente né l'essere possano andare, sia uno dei meriti della logica e della metafisica greca. Ma, così come l'atomo democriteo, anche 1'individuus" ciceroniano avrà una storia complessa e infinita. Passando per il medievale "principium individuationis", il concetto trova in Hobbes una prima messa a fuoco moderna. Hobbes ha "la consapevolezza che il mondo è individualistico in quanto popolato da inquietanti individui: un mondo siffatto va domato con la legge e con la forza dallo stato". Tra interpretazioni e messe a punto siamo sempre lì, e vanamente gli anarcocapitalisti e i liberisti di scuola vorranno dimostrarci che l'individuo è creatura autoctona e autoreferenziale mentre lo stato è una superfetazione posticcia e pressoché inutile. Nel Diciassettesimo secolo, alla fine, l'individuo diventa, "universalmente", un "membro della specie umana". Bongiovanni riassume i successivi zigzag della storia del termine. E, quasi al termine della sua ricostruzione, ci segnala che, "con il Novecento e con la società di massa, l'individualismo si appanna come dottrina" e l'individuo diventa "una cosa". Credo di poter dire che l'autorevole storico qui resta irretito nei lacci e laccioli della sua stessa formazione culturale, venendosi a trovare - certo senza volerlo - faccia a faccia con quei settori della chiesa che tendono a mettere in crisi la modernità fondata sull'individuo e l'individualismo, più o meno illuministico. Sono gli scherzi che ti può fare una insinuante filosofia apocalittica - quella della lamentazione della decadenza, del declino dell'occidente - prevalentemente di stampo germanico. E' possibile che, aggredito da scienze e filosofie spietatamente relativiste, l'individuo di oggi abbia perduto quella caratteristica dell'indivisibilità da cui trasse il nome e le fortune storiche; l'individuo oggi ci appare - o, meglio, ci viene presentato come frantumato, fors'anche inconsistente; ma questo è l'individuo del pessimismo occidentale, di una porzione minoritaria dell'ecumene popolato da sei miliardi di uomini (cioè, individui). Al di fuori dell'occidente, nell'Africa o nei tanti paesi e continenti emergenti vi sono, operano, lavorano e amano miliardi di individui che delle ubbie dell'occidente poco o nulla sanno, e di quel che ne giunge loro altamente si infischiano. E' lì la positività dell'uomo moderno, la feconda semente da cui nascerà l'umanità di domani. Che certamente studierà Cicerone e Democrito ma non se ne farà condizionare, perché la "cura" del quotidiano, per quanto mediocre nelle motivazioni, darà un formidabile impulso alla sua ricerca e conquista della felicità , comprendendo in questo generico obiettivo anche quello della moltiplicazione della specie (species), la matrice degli individui. Da questa semenza nascerà forse anche una filosofia, un pensiero, che dia saldezza, compostezza e fini adeguati all'indaffararsi dell'individuo, del nuovo individuo globale; e ci si può (ci si deve) augurare che sia una filosofia, un pensiero fondamentalmente ottimista. Come dire: non è che l'occidente e l'Europa siano in decadenza, sono
semplicemente due stupidi che si osservano l'ombelico, che è una forma di feticismo fideistico, non laico. Lo stridere di una risata martellante Al MAXXI, retrospettiva di Gino De Dominicis (1947-1998), un artista attento ai temi dell'immortalità , fosse solo del corpo, e del contatto che l'uomo può raggiungere con "misteriose energie cosmiche". Non lo amo particolarmente, ma mi incuriosisce questa sua indefessa ricerca, condotta in solitario. Sulla grande scala che conduce all'ultima sezione della mostra, mi raggela lo stridere di una risata continua e martellante, trasmessa ad alto volume da altoparlanti. Davanti a me, una teca che contiene un cartellino, firmato, delle dimensioni di una cartolina. In stampatello, scritta forse al computer, questa parola: "D'IO". Filosofi di ieri e di oggi mi daranno risposte più profonde e complesse al tema dei rapporto tra il divino e l'umano. Ma questa semplice, icastica invenzione tipografica dà a quel rapporto un risvolto inedito. Sicuramente è un risvolto ironico e beffardo (oggi si dice, e va di moda, "dissacrante") ma non per questo meno capace di invogliare a riflessioni e interrogazioni sulla molteplice eternità dell'io, forma suprema dell'individuo.