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Pensione a 65 anni anche per le donne, è l'Europa che ce lo chiede. Una misura che alcuni hanno definito "scomoda", ma che per il ministro delle Pari opportunità , Mara Carfagna, è così ostica da recepire in Italia per «un ritardo storico». «Non è l'Europa che corre», dice infatti il ministro a Libero, «ma è il nostro Paese che ha accumulato incertezze e ritardi rispetto agli altri Paesi nei servizi per l'infanzia e di conseguenza nelle classifiche dell'occupazione femminile». «E per questa ragione che nel secondo anno di governo ho voluto che investissimo quasi tutte le risorse disponibili per colmare questo gap con misure a favore delle donne che lavorano».
Ministro, perché tanta resistenza nell'opinione pubblica e delle parti sociali sul tema per esempio dell'innalzamento dell'età pensionabile per le donne? Ci saranno dei vantaggi, nell'adeguarsi all'Europa? «Ho sempre pensato che l'innalzamento dell'età pensionabile delle donne nel pubblico impiego fosse, oltre che un dovere imposto dall'Europa, una risorsa. E va detto che, nel percorso verso la piena attuazione delle pari opportunità , l'Europa è - ed è sempre stata - guida, esempio e stimolo perla legislazione del nostro Paese. La cosa che mi interessa di più, perché non si possa parlare di una misura "contro le donne", è che i fondi liberati da questo innalzamento, che certamente costringono alcune donne prossime alla pensione ad un sacrificio, restino alle donne, servano, cioè, a finanziare servizi che rendano meno difficili i percorsi professionali delle più giovani».
Ma come, concretamente? «Il piano di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro che abbiamo appena approvato è di ben 40 milioni di euro e servirà a realizzare sul territorio servizi di sostegno all'infanzia e alle famiglie: diffusione della tagesmutter, cioè la baby-sitter di condominio, incremento o creazione di asili nido, telelavoro o part-time per le mamme, reinserimento delle donne dopo il congedo di maternità , erogazione di voucher per i meno abbienti».
Il mondo del lavoro attraversa una grave crisi. Cosa vuol dire, oggi, occuparsi di pari opportunità ? Quali sono - se ci sono le opportunità e soprattutto quando vengono non equamente distribuite? «Le difficoltà nel mondo del lavoro oggi le hanno tutti, uomini, donne e soprattutto i giovani. La priorità è superare questo terribile momento e tutto quello che consegue all'onda lunga della crisi. In merito, può sembrare inopportuno adesso occuparsi di parità tra i sessi, ma, al contrario, questo comporta solo benefici per l'economia. É provato che più è alto il tasso di occupazione femminile, più cresce il Prodotto interno lordo. Quindi, dare alle donne gli strumenti per poter organizzare al meglio vita privata e lavorativa, vuol dire permettere loro di non lasciare il posto di lavoro, di fare carriera e di contribuire alla crescita del Paese. E risulta anche che, dove ci sono le donne, salgono i fatturati e la produttività delle imprese. Certo, c'è ancora molta strada da fare e siamo molto indietro come presenza nelle posizioni di vertice: le donne dirigenti in Italia sono il 13 per cento, mentre quelle nei consigli d'amministrazione solo il 6 per cento».
Conciliazione: le aziende cominciano ad essere più sensibili? «Lo diventeranno. Accogliendo la Direttiva 54, il Consiglio dei ministri ha introdotto nel nostro ordinamento sanzioni severissime per quei datori di lavoro che insistono nell'applicare in ufficio, in azienda, in fabbrica, trattamenti discriminatori nei confronti delle donne. Ora ci sono maggiori garanzie per la maternità , contro la disparità delle l'esperienza lo dimostra, vanno incontro alle esigenze delle donne o dei giovani in difficoltà . Lo Stato, il pubblico in generale, deve estendere la, concezione di welfare dall'assistenzialismo al coordinamento delle realtà positive». Asili aziendali, contratti flessibili, iniziative come fare la spesa per i dipendenti impegnati in ufficio: sono i primi segnali di un cambiamento che non può però essere solo lombardo. Ma di cosa hanno bisogno le mamme che desiderano continuare a, lavorare? Anna Zavaritt e Cecilia Spanu sono innanzitutto due mamme. Anna ha due figli, Cecilia quattro. Entrambe in passato si sono occupate del problema donne-lavoro, anche se in modo diverso. Qualche tempo fa hanno unito le forze e lanciato il primo servizio di intermediazione professionale rivolto alle mamme che lavorano. Si chiama "Moms@work" e, come spiega Zavaritt, è un progetto che in primis vuole «raccogliere i curriculum delle donne qualificate e motivate che per esigenze di conciliazione abbiano lasciato il mondo del lavoro o che vorrebbero un lavoro più flessibile». Secondo passo, il contatto con le aziende. Per recensire le iniziative positive, per stimolarne di nuove, per fare consulenza agli imprenditori che vorrebbero saperne di più. «La nostra priorità », racconta Spanu, «non è in questo momento raccogliere le denunce di situazioni difficili, quanto stimolare la crescita di nuove esperienze, anche facendo riferimento a quanto accade all'estero». Si va dal telelavoro al lavoro a isole (e cioè l'orario autogestito). Dalla banca delle ore alla baby-sitter a domicilio, passando per il maggiordomo aziendale che disbriga le pratiche burocratiche o la lavanderia. Poi rientrano negli strumenti di aiuto anche i centri estivi, le ludoteche e il sostegno per i compiti, i servizi navetta per i famigliari dei dipendenti e l'ampliamento degli orari degli asili aziendali. Moms@Work ha già creato una banca dati di profili qualificati, con la raccolta di 3mila curriculum. Ha, censito le criticità affrontate dalle aziende nell'attuazione della conciliazione: sono un'ottantina quelle interpellate, tra piccole, medie e grandi imprese. Tra le aziende contattate, il 21,8% ha un approccio integrato alla flessibilità come conciliazione, mentre quasi la metà ha introdotto la flessibilità oraria per un periodo limitato e prevalentemente attraverso il classico part-time. L'efficacia della gestione attiva delle proprie risorse è provata, spiegano Zavaritt e Spanu, dal fatto che si riscontri una forte fidelizzazione all'azienda da parte delle dipendenti interessate, con un alto tasso di rientro dopo la maternità , un basso turnover e l'alta redditività del capitale umano. Alla San Pellegrino, per esempio, la gestione attiva della maternità ne ha ridotto il costo dallo 0,23% allo 0,14%. Quello che ferma le aziende, spiegano ancora le ideatrici del progetto, è innanzitutto una scarsa conoscenza del contesto normativo e organizzativo da utilizzare per attuare la flessibilità del lavoro. E un 20% lamenta invece troppa rigidità normativa. Tra le esigenze aziendali ci sono in primis le agevolazioni fiscali (72% degli intervistati), poi asili e scuole (69%). Al terzo posto una maternità più flessibile e in ultimo (62%) un coordinamento territoriale.